La mozione è di minoranza
Teatro pieno fino al loggione per l’assemblea della seconda mozione, “la Cgil che vogliamo”, sabato mattina al Valle. Se possibile ancor di più di quella che ha presentato il documento all’inizio del percorso congressuale. E non solo partecipata, ma anche pronta a dare battaglia. Sconfitta ma non doma, si potrebbe sintetizzare, perché non c’è nessuno, a cominciare dai dirigenti, che non riconosca il risultato che fa di questa la mozione di minoranza, ma d’altra parte altrettanto non c’è nessuno che pensi che i contenuti che hanno portato questo gruppo di dirigenti a stilare un documento alternativo e 310mila lavoratori e delegati (certificati) a votarlo, siano accantonabili solo perché non si è in maggioranza. Anzi. E non è cosa da poco, perché è proprio chi ha indicato i problemi e le contraddizioni drammatiche che affliggono il più grande sindacato italiano in questo passaggio storico, tanto da sintetizzarle nell’alternativa tra una ridefinizione di classe e un’agenzia di servizi, ha inequivocabilmente la responsabilità di fare fino in fondo una battaglia per la democrazia interna, pena essere il primo responsabile di un’ “irriformabilità” della Cgil, come da più parti si sente dire.
Cambiare il sistema di regole. E il conflitto?
E non basta per questo imputare al sistema di regole la maggiore o minore democraticità dell’organizzazione. Quest’ultimo congresso finora ha dimostrato che le regole si possono cambiare in corsa. E non solo, ma più platealmente è sotto i nostri occhi che la più ammirabile delle Costituzioni non basta a tutelare la democrazia, è il conflitto a farlo o a penalizzarla, se i rapporti di forza spostano in senso autoritario il paese, mentre chi sostiene diritti e libertà democratiche parla, ma non costruisce qualcosa di diverso.
Un’ambiguità da sciogliere
E qui sta il punto di ambiguità non sciolto dalla mozione, dovuto alla diversità di vedute che i firmatari hanno esplicitato con sufficiente chiarezza. Il segretario della Fisac e primo firmatario della mozione Mimmo Moccia, che ha aperto l’assemblea, ha espresso la necessità di “non chiudere la battaglia col congresso”, perché “gli eventi di questi mesi confermano la giustezza delle posizioni della mozione due”, e perché “il ruolo della Cgil deve essere quello di un soggetto capace di incanalare le forme di antagonismo e non di diventare un gestore dell’esistente”. “C’è una consapevole colpevolezza del ritardo dello sciopero del 12”, ha detto Moccia, mentre quello dovrebbe essere l’inizio di una nuova fase, di una “sfida in campo aperto”. E’ necessario “rimanere insieme”, ha detto il leader Fisac, ma è possibile “anche all’opposizione”. “Strumenti di democrazia sono disponibili dentro la Cgil”, ha sottolineato, lasciando intendere la possibilità di aprire un’area programmatica. Il Congresso non avrà, per Moccia, una conclusione unitaria, a meno di un riconoscimento sostanziale delle posizioni da parte della mozione di maggioranza. Il che non è dato, cosa che insieme alla gestione ‘bulgara’ delle votazioni, fa dire al numero uno dei bancari, parafrasando Woody Allen, che “se dio è morto, la democrazia in Cgil non sta tanto bene”.
Le diverse posizioni in campo fra i dirigenti…
La relazione di Moccia è stata chiusa da un lunghissimo applauso, confermato negli interventi che sono seguiti dalla volontà di considerarlo la base per ricompattare le diversità, anche dopo la spaccatura della mozione in Lombardia. Diversi invece i toni del leader Fp Carlo Podda, che al contrario ha rimesso sostanzialmente nelle mani della maggioranza la possibilità che “la discussione prenda corpo”. “L’operazione della mozione due” serviva a fare in modo che “la Cgil discutesse”, e questo “non è successo”, per Podda semplicemente “non è stato centrato l’obiettivo”. Lasciando in secondo piano i motivi, cruciali, cioè proprio quelli per i quali è stato ritenuto necessario un documento contrapposto. Tra le due il leader delle tute blu Gianni Rinaldini, che pur approvando l’intervento di Moccia nella volontà di “andare avanti”, non vede la necessità dell’area programmatica tout court, perché, dice, “lì dove siamo maggioranza non esiste”. Non si tratta di “demonizzare la mozione uno” dice il segretario Fiom, ma di valutare la possibilità di una “gestione unitaria”. Bisogna “vedere cosa succede al congresso”, e in ogni caso si impone la necessità di “costruire regole che siano democratiche e non un plebiscito”, per avere “una dialettica democratica vera”. Giorgio Cremaschi ha sottolineato la condivisione della relazione di Mimmo Moccia sintetizzandola con un “andiamo avanti”, che per il leader sindacale significa il “dovere di rappresentare e organizzare le 310mila persone che hanno creduto in questa battaglia”.
Per Cremaschi sono chiare le discriminanti in campo: “il livello di dissenso in Cgil assolutamente inadeguato”, “la “rottura morale con Cisl e Uil”, che la questione dell’articolo 18 impone non si parli più di semplice “diversità di vedute”, e la conseguente “colossale ipocrisia” dell’unità sindacale, come il “1° maggio unitario a Rosario”, che è esclusivamente unità degli apparati. Si impone di scegliere “quale linea di marcia”, organizzando la minoranza per “costruire la nostra battaglia”, in un’area che non deve essere, ha detto riferendosi a Lavoro Società, una “corsia privilegiata per entrare in segreteria”, ma uno “spazio di battaglia di cui 310mila compagni hanno bisogno”. Un’area di cui non ci sarà bisogno solo se “al Congresso c’è spazio per i nostri contenuti”. “Altrimenti – ha concluso Cremaschi – noi ci organizziamo”.
E l’assemblea
L’assemblea dei delegati ha risposto in massa un sì deciso alla battaglia, che per quasi tutti si traduce nella necessità di costituire l’area programmatica per stabilizzare un proprio riferimento. I dubbi di alcuni su questo punto non sono quindi tentennamenti sulla necessità di tenere aperto il conflitto, ma al contrario il timore che un’area possa trasformarsi in un secondo apparato. Un rischio scongiurabile proprio tenendo aperta la battaglia politica. Se i dirigenti sono arrivati a questo appuntamento senza aver sciolto le differenti vedute, la platea ha risposto quindi con un’unica posizione chiara. Costituire l’area ora, o almeno un coordinamento autentico che dia voce ai 310mila, che permetta non solo la contestazione di principio di questa gestione, ma ponga in essere da subito quella pratica democratica di cui la mozione è segno, obbligando al confronto sui contenuti al di là del confine limitato delle assemblee congressuali. Non c’è Cgil se non si apre questa discussione, e se a questa non seguono immediatamente la costituzione di un’opposizione senza quartiere alla politica di governo, così come a una burocratizzazione del sindacato.
Rimandare la decisione è una posizione
Se le posizioni espresse dai dirigenti sindacali chiariscono che vi è una discussione in corso, questo non basta a superare l’ambiguità in campo, dovuta al fatto che alla denuncia di una gestione banditesca di moltissimi congressi, e comunque in generale di una limitatissima possibilità di discussione vera, non sta seguendo ancora una risposta. E tanto più ci si aspettava una presa di posizione chiara, in quanto di questa mozione è firmataria la maggioranza della segreteria Fiom, in testa il suo leader, che ha brillato per chiarezza e determinazione proprio sulla democrazia sindacale, portando la sua categoria a compattarsi con grande forza.
La decisione è stata rimandata ad un prossimo incontro seminariale, cui seguirà un’altra assemblea generale, prima del Congresso. E’ quella l’ultima occasione per prendere posizione come mozione e scegliere una pratica, unica strada, non procrastinabile, per realizzare la democrazia sindacale. Altrimenti il rischio è quello di praticare invece un sistema ormai collaudato in anni di discese a precipizio delle organizzazioni della sinistra, per puntellarle. Da una parte e dall’altra. Mentre perdono il contatto i lavoratori e si burocratizzano. Con il risultato che ciascuno risolverà individualmente un accomodamento in nome degli equilibri interni. L’indecisione, come è noto, è la madre del compromesso. E al momento, da una conferenza stampa all’altra, a quest’assemblea, e al prossimo ‘incontro seminariale’ a cui seguirà una successiva assemblea, sembra di assistere a un passaggio di palla, senza avere il coraggio di tirare in porta. Adesso è il momento di farlo.
Friday
26/03/10
22:17