Occupazione garantita,''non solo per gli operai, perché non ci metteremo certo noi ad avvitare bulloni e cestelli. Ma anche per ingegneri, architetti, designer''. E se l'operazione andrà in porto, l'investimento finanziario sarà ''l'ultimo dei problemi''. Perché la China Machi Holdings Group è abituata a misurare i business in termini di miliardi di dollari.
I 3.200 lavoratori dell'Antonio Merloni sperano, e forse qualche certezza in più l'avranno oggi, dopo l'incontro ad Ancona fra il ministro per lo Sviluppo economico Claudio Scajola e la delegazione cinese guidata da Xie Bingzhen, ma anche se il gruppo cinese non ha ancora presentato un'offerta vincolante e un piano industriale, l'eventuale acquisizione dell'A. Merloni poggia su questi due elementi certi: i soldi ci sono, le maestranze restano. Lo si capito dalle risposte che il vice presidente Bingzhen e il suo rappresentante in Italia Marco Zhou Yue (ad di Otto Italia) hanno fornito a Fabriano, nel corso di una cena riservata, alle domande del presidente della Regione Marche Gian Mario Spacca, della Confindustria Paolo Andreani, dei segretari di Cgil, Cisl e Uil (Gianni Venturi, Stefano Mastrovincenzo, Graziano Fioretti). Presenti anche il presidente di Ariston Thermo Group Francesco Merloni, e, per il gruppo cinese, Ma Junming, presidente della Sogood Industry (televisori) di Shenzen.
Il progetto ruota attorno a un'offerta integrata per l'ex stabilimento Videocolor (Thomson Tv) di Anagni, e per gli impianti di frigoriferi e lavatrici A. Merloni di Marche, Umbria e Ucraina. La China Machi produrrebbe interamente in Italia elettrodomestici di alta gamma per il mercato interno cinese più ricco, e assemblerebbe qui prodotti di fascia medio-bassa provenienti dalla Cina, destinati ai mercati dell'Europa dell'Est (attraverso l'Ucraina), dei Balcani e dell'Africa. Porto, aeroporto, interporto delle Marche (che la delegazione visita oggi, insieme a un cantiere e un paio di aziende calzaturiere) la piattaforma logistica. I costi di trasporto? Per China Machi, anche questo non rappresenta un ostacolo. Vale l'argomentazione contraria a quella per cui un'auto Fiat prodotta a Termini Imerese non è competitiva perché costa mille euro di più: le nuove classi affluenti cinesi appaiono disposte ad affrontare ricarichi strabilianti, pur di possedere un must del 'vero' Made in Italy.
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