Imbecilli, dilettanti, dilettanti allo sbaraglio, banda di incapaci. Sono le parole che più circolano nel Pdl a proposito delle liste per le elezioni regionali nel Lazio e in Lombardia. I “gestori” di un disastro non annunciato vengono linciati, per ora solo a parole. In particolare, come si dice, la casa brucia nel Lazio dove il Pdl ne ha combinate di tutti i colori. Dopo la bocciatura della lista di partito non passa neppure la lista della stessa Renata Polverini. Al cosiddetto listino, mancherebbe la firma del rappresentante di lista. Infine la lista della ex sindacalista Ugl, già Cisnal, sarebbe la copia di quella presentata da un altro Polverini, tale Fabio, candidato con una lista collegata a Forza nuova del neofascista Roberto Fiore. I simboli sono simili. Fabio è stato più veloce di Renata, per cui si è aggiudicato il posto nella competizione elettorale. Si potrebbe dire lite in famiglia. Cancellazione su cancellazione, alla fine viene cancellata la stessa Polverini come candidata alla presidenza della Regione. Diversa la situazione di Formigoni. Più di cinquecento firme non sono valide per cui il Pdl esce dalla competizione elettorale. Per carità di patria, la loro nella quale ovviamente non ci riconosciamo, non parliamo dei contenuti delle liste del Pdl. Mogli, figli, portaborse, veline, qualche condannato nelle liste di appoggio. Lasciamo perdere. Cosa è accaduto? Davvero chi ha lavorato alla preparazione del materiale da consegnare alle commissioni elettorali era così sprovveduto? Pare di no. Sia Formigoni che Polverini, dopo alcuni primi attacchi di bile accompagnati da parole impronunciabili nei confronti dei presentatori, hanno fatto marcia indietro. Erano tutti bravi ed esperti. Allora? Sono circolate versioni contrastanti a getto continuo, l’una diversa dall’altra. Neppure uno psichiatra ci caverebbe le gambe Nel clan Polverini, in particolare, hanno proprio perso la testa, ammesso che mai l’abbiano avuta, politicamente s’intende. Hanno raccontato balle, hanno parlato di aggressioni, hanno denunciato il magistrato che sovrintendeva alle operazioni di accettazione delle liste per abuso di atti d’ufficio, se la sono presa con le forze dell’ordine che hanno chiuso le porte alle 12, termine di scadenza per la presentazione. Hanno denunciato alcuni esponenti radicali che avrebbero impedito con la violenza l’ingresso degli allegri presentatori che, per passare il tempo, erano andati a farsi un panino, poi erano tornati, uno in particolare, scartabellando la lista dei candidati. Sembra di assistere ad una comica di Charlot anche perché la sceneggiata è stata registrata in video e di violenza non c’è neppure l’ombra. Neppure uno psichiatra ci caverebbe le gambe. Il magistrato denunciato, quasi accusato di essere una toga rossa, ha fatto sapere che con quel colore non ha niente a che fare. Anche Berlusconi era tentato, come vedremo, di sparare a zero contro la magistratura che manda a carte quarantotto le liste del Pdl. Poi ci ha ripensato ed ha cambiato tattica visto che una magistratura come quella del Tar è stata chiamata in causa per la decisione definitiva. Berluscones contro finiani A Roma e Milano c’è una linea comune: le liste sono state bocciate per formalismi giuridici, per inghippi burocratici, quasi che il rispetto delle leggi, dei regolamenti, sia un fatto negativo e non il sale della democrazia. Loro, che si ritengono unti dal Signore, possono perdere tempo con le firme, i timbri, roba di altri tempi. Per quanto riguarda la lista del Lazio, filtrano tante versioni. Dal Pdl, finiani contro berluscones, escono veleni, bisogna stare lontani. Tutta colpa di Alemanno che avrebbe voluto capolista Di Paolo, marito di Barbara Saltamartini, deputata in grazia di Berlusconi, vecchia amicizia del sindaco il quale nega e nega ovviamente anche Di Paolo che non vuole si metta in mezzo sua moglie. Poi c’è Simone Piccolo che avrebbe fatto uno sgarbo sempre al sindaco che aveva voluto alla testa dell’Ama uno come Andrini, fascista incappato nello scandalo Fastweb. Ovviamente Piccolo non sa niente. Poi altre versioni fantasiose. Dunque, ora si spera nella magistratura amministrativa regionale. Palazzo Chigi per una strategia da ultima spiaggia Ma in una riunione tenuta a palazzo Chigi è scaturita si è discussa anche una strategia da ultima spiaggia. Con un inferocito Berlusconi pronto all’assalto alle toghe, c’erano il sindaco di Roma, Alemanno, i ministri dell’Interno, Maroni, della Difesa La Russa, delle Politiche comunitarie, Ronchi, gran ciambellano Gianni Letta. Il capo del governo viene ridotto a più miti consigli visto che saranno le toghe a doversi ancora pronunciare ed è meglio non eccedere. Viene a mente che si potrebbe fare una “leggina” ma ci vorrebbe l’assenzo dell’opposizione. Si scandaglia ma la risposta è no. Sarebbe come chiedere a Bersani o Di Pietro di darsi martellate là dove fanno più male. Un decreto? Scartato anche questo. C’è il rischio che abbia un ritorno elettorale negativo. Allora una terza via, quella che non manca mai: il rinvio delle elezioni, così si riaprono i termini per la presentazione delle liste e come nelle vecchi favole, tutti vissero felici e contenti. In particolare Berlusconi che in tanta confusione, fra un impedimento illegittimo e l’altro, per risanare lo spirito ha deciso di cambiare sarto. Non più Caraceni con i gessati troppo seriosi, da vecchi, ma il napoletano Kiton che gli propone abiti più giovanili. Non perde il vizio, pure nelle disgrazie. Condividi