Abbiamo atteso in verità qualche giorno di fronte all'evolversi della vertenza Merloni prima di tornare a prendere posizione in merito alle misure previste nell'Accordo di programma, attendendo con fiducia l'incontro di venerdì scorso al Ministero dello Sviluppo economico. La fiducia è stata ovviamente mal riposta e, come volevasi dimostrare, l'ennesimo nulla di fatto ha dimostrato ancora una volta le ipotesi della vigilia. O meglio qualcosa di concreto è stato dato come fatto assodato: l'accordo, quando verrà sottoscritto, prevederà un taglio alle risorse per finanziarlo da 50 a 35 milioni di euro, da spalmare nelle aree della crisi Merloni delle tre Regioni coinvolte.
Nel frattempo c'è stato il tentativo di silenziare ogni potenziale voce critica ipotizzando lo sgombero del presidio che il Comitato dei Lavoratori di Colle sta portando avanti ininterrottamente da un mese, cosa non scontata da queste parti. La resistenza del Comitato ha ricevuto diverse attestazioni di solidarietà, compresa la nostra. Per come si sono messe le cose, poi, c'è un altro grande rischio da sottolineare su cui avevamo in precedenza già espresso forti preoccupazioni e sollecitato le attenzioni delle Istituzioni, del sindacato e della politica: l'unica ipotesi di prosecuzione dell'attività produttiva per questa azienda, ancorchè fumosa, fino ad oggi e tuttora rimasta sul campo è quella della Holding cinese. Da quello che emerge, però, questa prevede lo smembramento dei corpi produttivi della Merloni e l'abbandono del sito produttivo umbro di Colle su cui non resterebbe altro che l'altra ipotesi, quella della Quadrilatero, che non garantisce nè la salvaguardia, neanche di un minimo decente, dei posti di lavoro e non realizza ipotesi di prosecuzione di una qualsivoglia attività produttiva, neanche di riconversione.
Di fronte a questa sciagura le organizzazioni sindacali sono prese per il collo dal Governo con la promessa della sola prosecuzione del regime di cassa integrazione. La situazione non presenta dunque prospettive serie che possano consentire una qualche fiducia sul rilancio economico e produttivo del nostro territorio, messo oramai alle corde, la vertenza stenta ancora ad assumere un carattere nazionale nonostante le risibili parole di Scajola nel parterre di Sanremo, il governo continua a prestare orecchie da mercante alle richieste dei sindacati e delle istituzioni del territorio, messe tra l'altro alla porta nella trattativa.
E, ancora una volta, la situazione conferma la nostra analisi sulla divisione della vertenza: le Marche, con il loro Governatore Spacca, sembrano accontentarsi dell'esito e appaiono paghi e cautamente soddisfatti. Tempo fa, di fronte ad una situazione che nella prospettiva lascia presagire disastro economico e massacro sociale, avevamo sostenuto l'idea di convocare lo sciopero generale di Umbria e Marche per consentire una risposta corale ai ritardi e alle manchevolezze del Governo e dei commissari così come per rendere effettivamente nazionale e visibile la vertenza: unico modo per strappare condizioni e soluzioni più solide e concrete. Oggi lo fa, a gran voce, il consiglio comunale della città umbra che ospita l'insediamento della Merloni: Nocera Umbra, altrettanto spaventato dalle sorti che si stanno sempre più con evidenza delineando soprattutto sul nostro versante d'Appennino.
Ai sindacati si chiede dunque un atto di forza e di coraggio: convochino uno sciopero generale come si è fatto in Sardegna per l'ALCOA. Noi continuiamo a pensare che ci siano ancora tutte le condizioni e le preoccupazioni per farlo sia nell'Umbria che nelle Marche perchè questa vertenza si ponga ancora come unitaria ed interregionale. Sarebbe altrimenti un segno di debolezza di cui ne approfitterebbe chi continua a pensare che non ci sia futuro per l'industria manifatturiera italiana e che gli operai, finchè salgono solo sui tetti, possono tranquillamente perdere il posto di lavoro. Tanto la crisi non c'è.
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