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MILANO - "Ci sono due tipi di musei, uno di tipo germanico-americano, da cui si esce in genere con i piedi gonfi e ricordando poche cose, poi esiste il 'museo diffuso', quello in cui e' piacevole andare, che e' inserito in un bel contesto. L'Umbria e' un perfetto esempio di 'museo diffuso'". Philippe Daverio, giornalista e critico d'arte, descrive cosi' l'offerta culturale dell'Umbria nel suo intervento a 'Umbria da vedere e ascoltare' nell'ambito del Bit in corso alle Fiera di Rho-Pero. "In Umbria ogni collina racconta qualcosa di specifico, di unico, e' un luogo -aggiunge Daverio- in cui si integrano perfettamente storia e paesaggio, in Umbria si capisce l'Italia, si capisce a quale cultura apparteniamo. Il caso di Assisi e' tra i piu' evidenti, e' il luogo in cui si e' realizzata la rivoluzione comportamentale, quella del passaggio da 'far danaro' a 'far pensiero'. La rivoluzione francescana si ritrova poi nell'architettura. Una parte dell'Italia nasce li', si puo' fare il paragone con l'altra parte di Italia che nasce con la lingua di Dante". Daverio ha poi scherzato affermando che "dovrebbe essere vietato stare in Umbria per meno di tre giorni, ci sono troppe cose da vedere. Dal museo etrusco di Perugia che e' straordinario. In alcuni momenti si passa da una meraviglia ad un'altra, basta pensare a Gubbio, Foligno o Citta di Castello. Lo stesso vale per Todi e per molti altri luoghi". Per Daverio "in Umbria, a differenza di molte altre regioni, il paesaggio e' ancora intatto. Si tratta di una regione fisicamente piccola ma oggettivamente vastissima con tradizoni antiche. Talvolta si ha l'impressione di sentir parlare latino, c'e' una latinita' che e' scomparsa anche a Roma, lo dimostra la mostra sull'imperatore Vespasiano che e' aperta in questo periodo". "Gli umbri sono gente concreta, Francesco d'Assisi attuava una mistica concreta e comprensibile, non faceva parte dei santi 'speculativi' come Tommaso d'Aquino. Per questo spero che si impegnino per far sopravvivere le bellezze della loro regione, non fermandosi al passato ma lavorando per un disegno culturale e architettonico del ventunesimo secolo", conclude Daverio. Condividi