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“L’Italia è l’unico Paese dell’eurozona dove non esiste un sussidio unico garantito per tutti i disoccupati”. “Chi perde il lavoro in Italia ha una probabilità di diventare povero sei volte superiore alla media: per questo c’è bisogno di una riforma organica, che copra tutti i tipi di lavoratori e dia certezza a chi si aspetta di essere aiutato se perde il posto”. Parte da questa considerazione il ragionamento del professor Tito Boeri, docente alla Bocconi, che, intervistato oggi da La Nazione, avanza una proposta che, sia pure articolata in termini diversi, pare proprio la copia sputata di quella del “reddito sociale” sostenuta da Rifondazione Comunista. Come pure analoghe a quelle del Prc le ragioni che sostengono la sua tesi: l’Italia, afferma infatti, è fra i Paesi più colpiti dalla crisi e, senza una copertura universale, milioni di disoccupati stanno cadendo nella povertà e, dunque, c’è il rischio di dover pagare prezzi sociali altissimi. Da qui l’urgenza di una riforma che si sarebbe dovuta già fare all’inizio della crisi, perché “se la gente non ha niente in tasca da spendere, rimettere in moto l’economia diventa ancora più difficile”, se non impossibile, aggiungiamo noi. Quanto al “sussidio unico di disoccupazione”, o “reddito sociale” che dir si voglia, questo (altra stretta analogia con la proposta del Prc) “potrebbe essere introdotto come uno schema che offra a tutti coloro che abbiano una precedente esperienza lavorativa (perciò anche a chi non è stato rinnovato un contratto a tempo determinato o provenga dal parasubordinato, ndr)… una percentuale della precedente retribuzione decrescente nel corso del tempo”. A questo riguardo Boeri azzarda una ipotesi sulla quale ogni discussione è aperta: parla, infatti di un 65 per cento dell’ultimo salario lordo percepito per i primi 6 mesi; scendere al 55 per cento dal settimo al diciottesimo mese e, infine, fornire un’assistenza fino a 24 mesi, con gli ultimi 6 a sussidio ridotto di 500 euro mensili riservato, però, solamente a chi ha lunghe carriere lavorative alle spalle. Ora, naturalmente, sugli aspetti tecnici (altri ancora, di minore rilevanza, vengono accennati nell’intervista) si potrà discutere, ma resta tuttavia il fatto che pure tra i bocconiani, ovvero in un ambiente che ha sempre spinto per introdurre riforme liberiste dell’economia, si va facendo strada la necessità di apportare correttivi a maggiore tutela del lavoro, correttivi considerati oltretutto indispensabili per rendere più sana l’economia medesima. E dopo i 24 mesi che succede? Per chi rimane senza lavori per più di 24 mesi, Boeri parla di strumenti diversi da prevedere, quale ad esempio un “reddito di ultima istanza”, mentre per le partite Iva, che riconosce anch’egli essere spesso “finti” lavoratori autonomi, il cui reddito dipende da un solo datore di lavoro che non li vuole assumere, rimanda la soluzione ad una riforma del mercato del lavoro che introduca un “contratto unico”, “per risolvere l’anomalia di un mercato a due velocità, dove ormai oltre il 20 per cento dei disoccupati sono privi di qualsiasi garanzia, anche previdenziale”. Quanto, infine, al perché si sia arrivati a tale situazione, questa è stata la risposta data da Boeri: “In Italia nessuno ha mai messo mano al problema in maniera sistematica: il sussidio di disoccupazione è sempre stato legato al potere contrattuale delle singole categorie di lavoratori, non è mai stato considerato un diritto universale. E’ stato concesso come un privilegio a piccoli gruppi di pressione poi si è allargato fino a interessare quasi un disoccupato su cinque, mentre negli altri Paesi dell’eurozona è coperto al 70-80 per cento dei disoccupati. Ma è un sistema inefficace e iniquo”. Condividi