In passato non era inusuale nella prassi che prima venisse l'accordo politico che sanciva le alleanze e poi il programma. In questo caso, nel caso delle prossime elezioni regionali, non può essere così ed il programma diventa elemento pregiudiziale a qualsiasi ipotesi di coalizione e, nel caso che ci interessa, di ricostituzione di una coalizione di centro sinistra. Questo non solo e non tanto per motivi di carattere politico generale, dalla inesistenza di un punto di riferimento nazionale (non esiste come in passato al governo o all'opposizione una coalizione di centro sinistra) alla ancora sconosciuta perimetrazione di un ipotetico centro sinistra regionale, ma per motivi oggettivi dettati dalla crisi. I prossimi cinque anni saranno anni decisivi per l'Umbria, anni di scelte importanti per il suo futuro. La crisi, lungi dall'essere superata, continuerà a ripercuotersi negativamente ancora per diversi anni ( molti istituti di ricerca collocano attorno al 2017 la possibilità che il sistema Italia ritorni su livelli pre crisi). Per affrontare questo periodo non facile è innanzitutto necessario che la Regione, che il nuovo governo regionale, avvi una nuova stagione di programmazione regionale, la programmazione regionale ritorni ad assumere quel ruolo e quella centralità che aveva avuto in passato, in anni nei quali (sarà una coincidenza) il sistema Umbria ha realizzato le migliori performance sia economiche che sociali. Se una critica va fatta alle politiche economiche regionali di questi ultimi anni è che, spesso e volentieri, si sono limitate a sostenere, accompagnare lo sviluppo spontaneo del mercato, senza riuscire ad incidere in maniera significativa sui ritardi del sistema economico regionale. Gli scarsi risultati della seconda stagione del Patto per lo sviluppo, per altro pensato in tutt'altra fase economica, ne sono la dimostrazione. La crisi ha dimostrato, sta dimostrando il fallimento del mercato, nel mondo, in Italia ed in Umbria. Da qui la necessità di un forte e concreto rilancio della programmazione regionale “come metodo della propria azione” , per citare l'articolo 18 dello Statuto regionale : una programmazione che sappia muoversi in tre direzioni fondamentali tra di loro fortemente intrecciate: a. contrastare gli effetti della crisi sul Piano occupazionale. In questo senso si muove la richiesta di un Piano regionale per il Lavoro, che preveda una reimpostazione del complesso degli interventi regionali, finalizzandoli alla priorità occupazione, facendo del lavoro e della creazione di nuova e buona occupazione criterio di scelta per l'attivazione di interventi. Intanto va data immediata attuazione a provvedimenti ad hoc come quello del reddito sociale; b. intervenire attraverso un più complessivo disegno di politica industriale per far avanzare un nuovo modello di specializzazione produttiva in grado di agganciarsi a quelle linee nei comparti produttivi ma anche dei servizi a più alto contenuto tecnologico. Ciò significa privilegiare interventi volti a migliorare la qualità del sistema, piuttosto che l'incentivo a pioggia ai singoli punti, significa ridisegnare un quadro di politica industriale, ma anche sviluppare attraverso l'Italia mediana, forme di cooperazione ed osmosi con le altre realtà produttive di quest'area vasta: c. organizzare bisogni, necessità emergenti in domanda ed attorno a queste domande far crescere e sostenere opportunità di nuove attività e di nuova e qualificata occupazione. Si pensi a tutta la green economy, per fare un esempio, che può decollare ed essere occasione di sviluppo solo se a monte c'è un intervento pubblico di organizzazione, anche attraverso interventi regolatori, di un mercato verde. O a tutta quella partita che genericamente viene definita risorsa Umbria, quell'impasto di ambiente, cultura, tradizioni, la cui trasformazione in occasione di sviluppo dipende strettamente dalla capacità di intervento pubblico. Tutto ciò rimanda alla necessità una Regione forte, con un forte ancoraggio ad un disegno programmatorio, per questo in questa fase le questioni programmatiche diventano centrali, diventano il discrimine nella costruzione di alleanze politiche. Condividi