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MAGIONE - “Credo nel sole, anche quando non splende”, frase tratta da un’epigrafe scritta sul muro di una cantina di Colonia divenuta nascondiglio per gli ebrei durante la guerra, è il titolo dell’iniziativa promossa dall’assessorato alla cultura di Magione, per commemorare la Giornata della Memoria, quel tragico 27 gennaio del 1945 quando l’apertura dei cancelli del campo di concentramento di Auschwitz rese noto a tutto il mondo il dramma dello sterminio di milioni di ebrei per mano dei nazisti. Il programma proposto dall’assessorato alla cultura realizzato con il patrocinio del Consiglio Regionale dell’Umbria e dell’Istituto per la Storia dell’Umbria Contemporanea, con il sostegno della Banca di Mantignana, si articola in due giornate con conferenze, incontri con le scuole, letture di testi di vari autori che hanno raccontato il dramma della Shoah. Due appuntamenti con studiosi e rappresentanti della comunità ebraica a Perugia, saranno dedicati alle vicende che hanno visto protagonista un gruppo di ebrei fatti prigionieri dai fascisti nell’Isola Maggiore del lago Trasimeno. Sarà presente anche Agostino Piazzesi uno dei pescatori che parteciparono alla loro liberazione. Il programma sarà così articolato: martedì 26 gennaio, alle ore 15.30, presso la Biblioteca Vittoria Aganoor conferenza su “Gli ebrei di Isola Maggiore: il Trasimeno nella grande storia” in cui si ripercorrerà la vicenda che ha visto protagonisti alcuni ebrei fatti prigionieri dai fascisti nell’isola e liberati grazie all’intervento del locale parroco e di alcuni pescatori. Ne parleranno Gianfranco Cialini, curatore del fondo antico dell’Università di Perugia, a cui si deve la riscoperta di questo momento storico legato alle vicende degli ebrei al lago, Giacomo Chiodini, assessore alla Cultura del Comune di Magione, Gustavo Reichenbach, rappresentante della Comunità Ebraica di Perugia e Mario Mariuccini, presidente Università della Terza Età di Magione. Mercoledì 27, ore 9.30, al Teatro Mengoni incontro con gli alunni dell’Istituto omnicomprensivo di Magione su “Gli ebrei di Isola Maggiore: una storia di libertà e coraggio” coordinato da Lando Contini, assessore alla Pubblica istruzione del Comune di Magione e con gli interventi di Gianfranco Cialini, Agostino Piazzesi, pescatore che ha partecipato alla liberazione dei prigionieri ebrei di Isola, Mario Tosti, presidente dell’istituto per la Storia dell’Umbria Contemporanea, Fabrizio Bracco, presidente del Consiglio regionale dell’Umbria. Seguirà la lettura di alcuni brani dal “Diario di Davide Rubinowicz” fatta da Valter Corelli. Il programma della manifestazione si chiude mercoledì 27, alle ore 21.00, al Teatro Mengoni con lo spettacolo della Compagnia Teatrale Magionese “Yossl Rakover si rivolge a Dio” i Zvi Kolitz, con Valter Corelli che ne ha curato anche la regia. Il testo, scritto in lingua yiddish, presentato, alla sua prima pubblicazione, come l’ultimo messaggio scritto da un combattente del ghetto di Varsavia, e ritrovato “tra cumuli di pietre carbonizzate e ossa umane, sigillato con cura in una piccola bottiglia”, commosse il mondo, e quando si palesò il vero autore, un ebreo lituano emigrato in Palestina allo scoppio della guerra, di nome Zvi Kolitz, molti non gli credettero. Anche se è da inquadrare esclusivamente come un testo letterario Yossl Rakover rimane una delle più interessanti analisi sull’ebraismo e sulla Shoah. Lo spettacolo, oltre alla voce recitante di Valter Corelli, vede in scena le narratrici Marta Capolsini e Paola Rugelli mentre le musiche saranno eseguite dal vero da Mirco Bonucci, chitarra, e Giordano Brozzi, fisarmonica. Le immagini dell’artista Giorgio Lupattelli evocheranno suggestioni dei momenti più salienti del disperato dialogo con Dio dell’ebreo Yossl che nonostante tutto l’orrore che lo circonda, e mentre aspetta di morire per mano dei nazisti che stanno invadendo la città di Varsavia, rivendica il suo Credo arrivando a dichiarare: “Muoio tranquillo, ma non appagato, colpito, ma non asservito, amareggiato, ma non delu­so, credente, ma non supplice, colmo d’amo­re per Dio, ma senza rispondergli ciecamente « amen »”. NOTE SUL TESTO DELLO SPETTACOLO “Yossl Rakover si rivolge a Dio” è una lettera-testamento. Yossl è uno dei combattenti della resistenza del Ghetto di Varsavia. Nel 1943, durante la Pessah (Pasqua ebraica), le SS irrompono nel Ghetto con i loro lanciafiamme, ma trovano gruppi di ebrei pronti a respingerle duramente. Si tratta della prima forma di resistenza ebraica della storia dopo quella del 135 d.C., al tempo di Adriano. Yossl è nascosto in un palazzo semidistrutto e sta aspettando di morire. Perché Yossl sa che tra poco qualche nazista lo ucciderà come ha già ucciso gli altri undici ebrei che giacciono cadaveri accanto a lui. Egli scrive perché scrivere diventa il suo estremo atto di rivolta e si rivolge a Dio in un dialogo personale e spietato: Ora quello che ho con lui è il rapporto con uno che anche a me deve qualcosa, che mi deve molto. E poiché sento anche a lui è in debito con me, credo di avere diritto di esigere ciò che mi spetta. Yossl si chiede perché Dio stia permettendo un tale abominio. E, di nuovo, il silenzio di un Dio che ha nascosto il suo volto al mondo è lacerante. Nell’anima di quest’uomo la fede non è sfiorata da dubbi, ma dal bisogno di capire: chi crede deve considerare questi avvenimenti parte di un grande disegno di Dio, davanti al quale le tragedie umane hanno poca importanza. Ciò non significa però che gli animi devoti del mio popolo debbano accogliere il verdetto, e dire che Dio e il suo operato sono giusti. Yossl parla a Dio confortato dalla verità delle sue umanissime rivendicazioni. Parla a Dio come un vivo, come un ebreo fiero di essere ebreo. Yossl è felice di appartenere al più infelice dei popoli, sorretto da una Legge che, proprio per essere stata profanata dai nemici, è ancora più santa. Yossl crede nel Dio d’Israele anche se questo Dio si è sforzato in ogni modo per mettere in crisi la sua fede, pone domande pesanti come macigni e giuste come possono esserlo solo le domande di una persona che sa di essere prossima alla morte. Espressione di rabbia disperata, grido straziante con cui, da uomo, rimprovera il suo Dio: Non tendere troppo la corda, perché, non sia mai, potrebbe spezzarsi. Per molto tempo “Yossl Rakover si rivolge a Dio” è stato considerato un testo autentico: il vero testamento di un ebreo che, poco prima di morire, lascia la sua ultima lettera poi ritrovata, in una bottiglia, tra cumuli di pietre carbonizzate e ossa umane a Varsavia. In verità “Yossl Rakover si rivolge a Dio” è pura letteratura, un testo scritto in una sola notte da Zvi Kolitz e pubblicato nel 1946 su una rivista yiddish di Buenos Aires. Quando venne ripreso e pubblicato all’estero, qualcuno dimenticò di specificare il nome del suo autore: la storia di Yossl Rakover si è diffusa senza Zvi Kolitz. Anche Lévinas, che scrisse il suo saggio nel 1955, non immaginava che un testo tanto profondo, intenso e vicino ai turbamenti dei superstiti, fosse inventato. Lévinas, anzi, considerò “Yossl Rakover si rivolge a Dio” un Salmo moderno, una bellissima preghiera e, come lui, tantissimi rabbini ed ebrei, in tutto il mondo, e per decenni, hanno letto, tradotto, analizzato e recitato Yossl Rakover. Quando più tardi Kolitz provò a rivendicarne la paternità ci furono molti che non vollero accettarlo. Grazie a Paul Badde, però, la vera genesi dell’opera è stata ricostruita con accuratezza. La suggestione e l’incanto contenuti in un libro possono superare i limiti imposti dalla storia e dal tempo. “Yossl Rakover si rivolge a Dio” ne è la prova. NOTE SU ZVI KOLITZ Zvi Kolitz nasce il 14 dicembre 1919 a Alytus, in Lituania. Zvi è, quindi, un ebreo lituano, un litvak. Suo padre era un rabbino e talmudista. Gli ebrei lituani sono vissuti per settecento anni senza subire alcun pogrom, resistendo persino al movimento hassidico. Ciò prima della II Guerra Mondiale perché, con l’arrivo dei nazisti, già nel 1941, gli ebrei lituani erano stati annientati. La madre di Kolitz aveva portato in salvo i suoi figli fin dal 1937. Zvi è vissuto in diversi Paesi del mondo. E’ stato agente segreto dell’Irgun e tra i sostenitori della nascita dello Stato d’Israele. E’ anche autore di spettacoli e film. I FATTI DI ISOLA MAGGIORE Nel giugno del 1944, mettendo a rischio la propria vita, alcuni uomini di Isola Maggiore, liberarono una trentina di ebrei prigionieri delle autorità fasciste perugine. Ad organizzare la fuga fu Don Ottavio Posta, allora parroco dell'isola, che con l'aiuto di quindici pescatori riuscì a far evadere i detenuti, evitandogli la deportazione nei campi di concentramento nazisti. Gli ebrei scapparono su cinque barconi nelle notti del 19 e del 20 giugno 1944 raggiungendo Sant'Arcangelo di Magione mentre in tutta l'area del Trasimeno era in corso la ritirata tedesca. VALTER CORELLI Valter Corelli è autore, regista ed attore teatrale, collabora dalla fine degli anni ’60 con il Teatro Stabile di Innovazione Fontemaggiore di Perugia. Ha scritto sceneggiature per cortometraggi, documentari, spot pubblicitari. E’ autore degli spettacoli: La mirabolante istoria del brigante Cinicchia, Naviruk, Nevermore, Raccontango, Pagine di terra, Vive la vie, Questa sera mi vesto di Blues. Insieme a Giampiero Frondini ha ideato e realizzato gli eventi teatrali Missione Annibale, Recita a palazzo in onore di Ascanio,Congiura al castello, La verità sull’Anima Dannata, Una storia quasi rusticana, Beauty Farm Clitunno. Collabora dalla fine degli anni ’90 con la Compagnia Teatrale Magionese, per la quale ha curato la regia di alcuni spettacoli ispirati a poeti (fra i quali “Le vele, le vele, le vele”, sull’opera poetica di Dino Campana) nonché i testi e l’assistenza alla regia dello spettacolo “Dammicentolire”. Dagli anni ’60 è attore cinematografico. Ha lavorato in importanti produzioni cinematografiche e televisive: “Francesco” (regia di Liliana Cavani), “Domani”(regia di Francesca Archibugi), “”Gli indesiderabili” (regia di Pasquale Scimeca), “Don Matteo”, “Carabinieri”, “Distretto di polizia”, “Gente di mare”, “R.I.S”, “Il maresciallo Rocca” e tante altre fiction televisive. Condividi