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Domani, 19 gennaio, è il decimo anniversario della morte di Bettino Craxi. In questi giorni non sono mancate le polemiche, a dire il vero, generalmente di basso profilo. Si sono già svolte alcune iniziative commemorative ed altre ne sono previste. La più importante si svolgerà in senato. Non si esclude anche la riabilitazione da parte del Presidente della Repubblica. Ricordare Craxi, ognuno a modo suo, con più o meno rispetto, sicuramente non può essere considerato un delitto. Il problema vero è che siamo in piena “operazione recupero”. Il giudizio su Craxi oscilla tra il considerarlo il capro espiatorio di tangentopoli o il massimo artefice della degenerazione della Repubblica dei partiti che deflagrò con Mani Pulite. Si dice che Craxi tentò di modernizzare l’Italia con l’obiettivo di una Grande riforma istituzionale. Indiscutibilmente il primo affondo alla centralità del parlamento con la sua idea di supremazia della governabilità sulla rappresentatività democratica. Cosi come il ragionare seriamente sulla trasformazione della repubblica parlamentare in repubblica presidenziale. Sempre craxiana è l’opzione di trasformare i partiti di massa in lobby di potere e in comitati elettorali; nonché fu sua la scelta della personificazione della politica (suoi i primi manifesti politici con il faccione). Craxiano fu anche l’avvio della distruzione della RAI come servizio pubblico a favore del suo amico Berlusconi, con relativo dono delle frequenze. Suo il messaggio a reti unificate per spezzare uno sciopero dei giornalisti. Si dimentica il craxismo come peculiare concezione della politica fondata sulla contrapposizione con il resto della sinistra, ad iniziare dal PCI. La sua feroce polemica antimarxista, faceva tutt’uno con la “Milano da bere” degli stilisti e dei cosiddetti ceti emergenti, con la sua dura politica anti operaia ed il finanziamento alla corrente socialista di Del Turco in CGIL contro la scala mobile. E si preferisce glissare sul soprannome di “Bokassa” che gli fu affibbiato per indicarne il modo di ruvido ed imperiale di gestire le cose della politica. Ne fu testimonianza il congresso di Verona del 1984, dove venne confermato segretario per acclamazione in una cornice ricca e costosa. In platea c’erano nomi dello spettacolo e del made in Italy ribattezzati dal ministro craxiano Rino Formica “nani e ballerine”. Ed è quella anche l’ignominiosa occasione dei fischi ad Enrico Berlinguer. Craxi commentò così quella scena vigliacca: “Non ho fischiato solo perché non lo so fare”. Del craxismo, sarebbe sbagliato dimenticarlo, fa parte anche il positivo sussulto di autonomia nazionale del 1985 quando il premier Craxi impedì agli aerei USA di ripartire dalla base di Sigonella in Sicilia con a bordo i palestinesi che avevano sequestrato la nave Achille Lauro. La valutazione del craxismo non dovrebbe esentare l’analisi della natura dei governi presieduti dal leader socialista (agosto 1983 – aprile 1987), cosi come del CAF (il patto Craxi, Andreotti, Forlani) che dominava l’Italia politica ed economica. Sono gli anni in cui, è d’obbligo ricordarlo, il debito pubblico passa dal 50% del PIL al 120%. I punti oscuri della stagione craxiana restano innumerevoli. Quando il 17 febbraio 1992 è arrestato Mario Chiesa Craxi pensa di poter archiviare il caso “l’episodio isolato di un mariuolo”. Ma era solo l’inizio della bufera che lo ha travolto. Se tangentopoli non fu una rivoluzione non fu neppure una invenzione. Craxi non fu una meteora come pensavano i capi corrente socialisti quando lo elessero segretario all’Hotel Midas nel 1976. Sicuramente uno dei suoi errori politici fu il rifiuto di farsi processare in Italia e prolungare la sua latitanza ad Hammamet fino alla fine dei suoi giorni. Comunque, qualunque sia il giudizio politico sul craxismo, ed il mio è assai negativo, si è costretti a ricordare che Craxi fu condannato in via definitiva a cinque anni e sei mesi per corruzione nel processo Eni – Sai, oltre che a quattro anni e sei mesi per finanziamento illecito. Quando Craxi lanciò il progetto di Unità Socialista dopo il 1989 dettò al PCI la via della semplice confluenza. Se oggi in Italia, contrariamente al resto di Europa, non esiste neppure un partito socialista la responsabilità principale è proprio del craxismo, che invece ci ha lasciato in eredità il berlusconismo. Condividi