Fabio Sebastiani (Liberazione 17 gennaio 2010)
L'abolizione della scala mobile? Una partita a scacchi tra il Pci e il Psi di Craxi che forse poteva prendere un'altra piega se solo la sinistra non avesse lasciato troppi fianchi scoperti.
La rievocazione di Pierre Carniti, non lascia spazio per interpretazioni di segno diverso. Craxi, allora presidente del Consiglio portò l'affondo quando capì che c'era una minima possibilità di vittoria. A tessere il confronto sindacale lasciò il suo fido Gianni De Michelis, allora ministro del Lavoro, dissimulando un falso disinteressamento.
«Craxi era disprezzato dal gruppo dirigente del Pci - ricorda Pierre Carniti -. Già nel '78 una nota di Antonio Tatò a Berlinguer lo dipingeva come un avventuriero e un bandito. Era detestato dai comunisti e guardato con sospetto dai democristiani. Una volta a Palazzo Chigi ricevette in eredità dal governo Fanfani l' intesa raggiunta nell' 83 dal ministro del Lavoro Vincenzo Scotti che, con un' abilità partenopea del taglia e cuci, aveva di fatto ridotto surrettiziamente il grado di copertura della scala mobile. Quell'intesa rinviava appunto all'84 una verifica con le parti». E quando venne il momento della verifica ecco uscire dal cappello la predeterminazione del punto di contingenza, ovvero la strada verso l'abolizione dell'adeguamento automatico dei salari.
Craxi la volle giocare la partita, senza avere quasi nulla in mano e fidando su una campagna mediatica e un appoggio dei circoli che contano. Non una politica economica, non una analisi del background e delle prospettive, non una strategia nel merito della materia. L'unico concetto, se così possiamo chiamarlo, che guidò la sua azione, fu una non meglio precisata "modernizzazione". Uno slogan più che una visione, agito contro una Italia operaia già schiaffeggiata dall'arroganza della Fiat. Alla fine della sua crociata Craxi agguanta sì una riduzione dell'inflazione puramente congiunturale e quindi legata alla fase economica generale non più in relazione al salario, ma aprirà di fatto quell'attacco alla condizione del lavoro, a cominciare dai salari, che dura ancora fino ad oggi. E con lo stesso segno.
Quello che per la Cisl diventa un obiettivo importante, dare un colpo all'inflazione, per il Psi di Craxi è un pretesto bello e buono per segnare lo squillo di tromba verso gli industriali che nel mentre avevano smesso di investire e vedevano nell'attacco al costo del lavoro l'unica via d'uscita per la ripresa dello sviluppo. La predeterminazione decurtò da subito il salario di cinquantamila lire. Ma non è "il male fisico" ad incidere realmente nelle carni del movimento sindacale. Quello è il primo accordo separato. La "lezione" di Craxi arriva fino ai nostri giorni, sullo stesso argomento e anche più precisa sotto il profilo dell'arroganza: l'accordo non è il risultato di una mediazione ma di una esclusione, quella della Cgil. La politica, quindi, è la risultante dell'azione dei poteri militari.
«Molti sono i segnali di una competizione che il segretario del Psi nonché capo del governo vuole mettere in moto per sottrarre consensi al maggior partito della sinistra - scrive Ritanna Armeni -. E gran parte di questa battaglia si gioca sul piatto sociale. Il Psi agisce a tutto campo per quella che definisce una battaglia di modernizzazione del paese e della sinistra ed essa passa attraverso lo scompaginamento e la sconfitta di quelli strati popolari che nel 1984 il Pci di Enrico Berlinguer ancora rappresenta e difende».
Secondo Tiziano Rinaldini, sindacalista, per inquadrare bene quella fase bisogna retrocedere di qualche anno, al primo impulso che nasce in Bankitalia, segnato dall'estromissione di Paolo Baffi e Guido Sarcinelli. Arriva Azeglio Ciampi che apre la questione della scala mobile e, di fatto, una fase che, guarda caso, porta dritto dritto alla finanziarizzazione dell'economia. «L'attore politico è Craxi ma l'operazione ha al centro la riduzione secca del potere dei lavoratori e in concreto del loro salario, considerato variabile dipendente e non più di vincolo. Craxi è dentro questo gioco».
E la sinistra? «Il punto chiave che da tenere presente è che in quegli anni si pensava a un andamento tradizionale delle lotte, in cui alla sconfitta si sarebbe alternata la ripresa. Anche Lama probabilmente pensava alla stessa cosa. E per questo furono in pochi a capire Berlinguer che invece pensava la fine di una fase».
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