Durante la guerra civile scoppiata tra Cesare e Pompeo nel 49 a.C., i due generali, prima di scontrarsi l’un contro l’altro, a lungo si cimentarono in una sorta di conflitto armato a “distanza”. E così, nel corso di questa logorante disputa, si assistette anche ad una progressiva definizione degli schieramenti in campo, man mano che la guerra, espandendosi su scala sempre più vasta, andava coinvolgendo elementi diversi. Ad esempio, nei momenti iniziali delle ostilità, lasciata prima Pompeo e poi Cesare l’Italia, l’attuale Francia del sud divenne un importante teatro bellico e due delle sue città più famose fecero scelte diametralmente opposte. Arelate (odierna Arles), porto fluviale a circa trenta km dalla foce del Rodano, si schierò senza riserve dalla parte di Cesare, mentre Marsiglia ebbe un comportamento ben diverso. Gli eventi sono narrati da Cesare stesso ne La guerra civile. Giunto a Marsiglia (19 aprile del 49 a.C), il generale si vide chiudere le porte della città. Egli allora intavolò delle trattative con i 15 capi marsigliesi, ma il tentativo non giunse a buon esito: la città, avendo in passato ricevuto benefici da entrambi i comandanti, dichiarava la propria neutralità. Che si trattasse di una scusa fu, tuttavia, chiaro quando, proprio mentre erano in corso le trattative, entrarono nel porto sette navi guidate dal pompeiano Domizio Enobarbo –uomo certo ingrato nei confronti di Cesare, che lo aveva perdonato qualche tempo prima, all’inizio della guerra civile, dopo averlo sconfitto a Corfinio (febbraio del 49 a.C.). Addirittura i marsigliesi affidarono al pompeiano la difesa della città. Allora Cesare, scosso dallo “schiaffo di Marsiglia”, condusse tre legioni sotto la città e diede ordine che ad Arles fossero costruite 12 navi da guerra: le officine navali situate lungo le rive del Rodano si procurano il legname e in trenta giorni costruirono e attrezzarono le 12 navi. Queste vennero poi condotte a Marsiglia e affidate al comando di Decimo Bruto: ebbe così inizio l’assedio ad opera di Gaio Trebonio (4 maggio 49 a.C.). Cesare a questo punto partì per la Spagna (5 giugno 49 a.C.), dove ingaggiò con le truppe nemiche un lungo scontro, terminato con la resa del 2 agosto del 49 a.C. dei legati pompeiani Afranio e Petreio, seguiti nella sventura anche dall’altro grande seguace di Pompeo, il celebre erudito Marco Terenzio Varrone. Frattanto continuava l’assedio di Marsiglia: il generale, dopo la vittoria spagnola, partì in fretta e furia in direzione di questa città e, fresco di nomina a dittatore, vi giunse alla fine di ottobre, quando Marsiglia era costretta a capitolare. Le navi preparate dalle officine di Arles erano state sicuramente utili, dato che durante l’assedio (mentre Cesare era impegnato nella campagna spagnola) si erano svolte due battaglie navali vittoriose per i romani (27 giugno e 31 luglio 49 a.C.). Va detto, per la verità, che, relativamente alla prima battaglia, il generale, informato evidentemente in questo da Decimo Bruto, lamenta ne La guerra civile l’eccessiva lentezza e pesantezza delle navi, che erano state costruite troppo in fretta e con legno non stagionato. Il seguito della storia è noto, con la vittoria di Cesare su Pompeo a Farsalo (9 agosto 48 a.C.) e la successiva morte di Pompeo fuggito in Egitto e ucciso a tradimento per ordine di Tolemeo XIII. Eventi, questi, che però non segnarono la fine della guerra fratricida, prolungatasi con altri spargimenti di sangue fino alla battaglia di Munda (45 a.C.), dopo la quale Cesare divenne signore incontrastato di Roma, ancorché per breve tempo. Prima che la guerra civile terminasse, nel 46 a.C., era accaduto qualcosa di importante per Arles. Cesare si era ricordato del beneficio ottenuto dalla città e si era sdebitato nei suoi confronti: aveva incaricato il questore Tiberio Claudio Nerone (padre del futuro imperatore Tiberio) di fondare delle colonie in alcuni centri della Gallia, tra cui appunto, Arles. Questa città divenne pertanto colonia romana, da affidare ai veterani della VI legione, e prese quindi il nome di Colonia Iulia Paterna Arelate Sextanorum, inglobando inoltre il territorio del Rodano fino a Hyères e sostituendo Marsiglia come porto di cabotaggio. Questa ampia premessa per dire che è proprio in una delle due date in cui Cesare ebbe a che fare con Arles, il 49 o il 46 a.C., che, secondo l’archeologo francese Luc Long, potrebbe essere avvenuta la realizzazione di un ritratto scoperto nei fondali torbidi del Rodano nel 2007, ritratto che, appunto, il Long ha attribuito senza esitazioni al dittatore romano. L’opera è riemersa durante le campagne intraprese dal Drassm (il dipartimento ministeriale francese delle ricerche archeologiche, subacquee e sottomarine, guidato dal Long stesso), sulla riva destra del Rodano, in corrispondenza di Arles, e, insieme ad essa, sono riaffiorati moltissimi altri pezzi di altissimo valore, nel corso di una campagna di indagini iniziata più di venti anni fa. Questo inestimabile tesoro archeologico è ora offerto alla pubblica visione grazie ad una mostra che si è aperta sabato 24 ottobre 2009 proprio ad Arles, presso il Musée départemental Arles antique. Il tutto nella pressoché totale indifferenza dei mezzi informativi italiani. Eppure si tratta della più grande mostra mai allestita nel centro francese: per la prima volta e fino al 19 settembre 2010 è possibile vedere gli splendidi reperti del Rodano nella loro totalità. Si risale indietro nel tempo, poiché le prime indagini sono iniziate nel 1989 e, dunque, l'evento si presenta come un primo bilancio scientifico di un lungo e impegnativo lavoro, ciò che ha destato, a dispetto della scarsa attenzione del nostro mondo culturale, l'interesse dell'opinione pubblica mondiale. Sono esposti anche i reperti ritrovati nelle indagini più recenti, effettuate solo qualche mese fa. La mostra era stata prevista da molto tempo, e si preannunciava sin dall’inizio di notevole importanza; tuttavia non avrebbe certo avuto un’eco così vasta se dai fondali torbidi del Rodano, a 5,5 m. di profondità e a 14 dalla riva, il sommozzatore Pierre Giustiniani del Drassm non avesse riportato alla luce il ritratto attribuito a Cesare. Il pezzo, davvero eccezionale, è stato già presentato con gran risonanza nel maggio del 2008. Si tratta di uno splendido busto di epoca tardo-repubblicana realizzato con marmo pregiatissimo. Tutta la mostra ruota attorno a questo ritratto, che, comunque, è davvero in buona compagnia: tra le circa 700 opere esposte, si segnalano una statua di Nettuno (ritrovata vicino al busto), una di Bacco, una Vittoria dorata e un prigioniero legato e inginocchiato. Autentica testimonianza, il tutto, dell’Arles romana come centro monumentale e non solo. Infatti, l’immagine che della città è stata ricostruita dagli studiosi equivale anche e soprattutto a quella di un luogo di grande dinamismo e vitalità commerciale. E il Rodano, che Arles bagna e attraversa, è stato giustamente definito una specie di “autostrada” fluviale, una via d’acqua essenziale nello svolgimento delle fervide attività legate al commercio. Detto ciò, tutto sembrerebbe filare liscio e, invece, la questione è assai complicata, poiché, mentre il Long non ha avuto dubbi nel ritenere che questa testa di eccezionale fattura rappresentì in modo assai espressivo il sembiante di Cesare e che addirittura sia la più antica rappresentazione di questi, molti altri esperti in materia si sono affrettati nel negare l’attribuzione dell’opera al “dittatore democratico”. E si tratta di fior di studiosi, a cominciare dall’archeologo tedesco P. Zanker (autore, tra l’altro, del celebre testo Augusto e il potere delle immagini) e dall’antichista inglese M. Beard, che ha pubblicato diversi saggi tradotti anche in Italia. Secondo il Long, l’identificazione con Cesare si fonda: sulla somiglianza fisica in base a quanto conosciamo del suo aspetto; sulla compatibilità cronologica del pezzo con l’età cesariana; sul luogo del ritrovamento, la colonia romana di Arelate, che fu fondata proprio per volontà di Cesare nel 46 a.C. (come dire, non è affatto strano ritrovare in questa città il ritratto del suo “padre fondatore”). Il Long, comunque, è in buona compagnia, sostenuto nella sua tesi da studiosi come F. Johansen (la più alta autorità in merito alla ritrattistica cesariana, avendo composto sull’argomento due importantissimi studi), J.C. Balty (esperto di ritrattistica romana) e C. Goudineau (autore di un saggio assai importante su Cesare e la Gallia). Coloro che invece rifiutano la tesi del Long hanno sottolineato come il volto non assomigli o assomigli solo vagamente all’iconografia cesariana da noi conosciuta. In particolare, lo Zanker ha inquadrato il ritratto come una copia di età augustea e, seguito in questo anche dall’archeologa francese E. Rosso, lo ha ritenuto il volto di un magistrato romano o di un nobile del luogo, che ha voluto farsi rappresentare con i tratti comuni del romano dell’epoca e, soprattutto, con le fattezze di Cesare, secondo un moda tipica in quel periodo. Per comprendere bene la questione, bisogna dire che l’unico ritratto a tutto tondo giunto fino a noi che rappresenta Cesare in modo realistico, essendo stato realizzato con ogni probabilità poco prima che egli morisse (44 a.C.), è il cosiddetto “Cesare di Tuscolo”, oggi conservato al Museo di Antichità di Torino. Da questo volto, oltre che dalle monete coniate a partire dal 44 a.C. (è da notare che Cesare, per primo, ottenne, proprio nel 44 a.C., il diritto di essere rappresentato vivente nelle monete) conosciamo per lo più le fattezze del dittatore. E il fatto curioso è che, mentre per il Long l’identificazione si basa proprio sulla somiglianza del volto del Rodano con quello di Tuscolo, tale somiglianza per altri specialisti del ritratto romano, come appunto Zanker e Rosso, non è proprio ravvisabile. Nonostante le obiezioni mosse da esperti così insigni, il Long ha ribadito la sua tesi e lo ha fatto in modo così convinto da inserire nel titolo della mostra il nome di Cesare, ciò che del resto è stato accolto senza riserve anche dai responsabili del museo: César, le Rhône pour mémoire (catalogo pubblicato da “Actes sud”, novembre 2009; sito ufficiale: www.cesar-rhone.fr), questa l’altisonante scelta. Alcuni di quelli che negano l’identificazione hanno addirittura parlato di un tentativo di fare pubblicità alle scoperte della campagna esplorativa sul Rodano. Il battage mediatico, senza dubbio, vi è stato, a tal punto da far insorgere legittimamente qualche perplessità, ma è altrettanto vero che il ritratto in oggetto è un’opera di straordinaria bellezza e, soprattutto, potrebbe davvero rappresentare Cesare. In attesa che anche altre voci autorevoli si possano in futuro esprimere sull’opera con maggiore cognizione di causa e non basandosi solo su semplici fotografie, si deve in qualche modo accordare fiducia al Long che, insieme a pochi altri, ha potuto osservare e studiare il busto da vicino. Vediamo ora di approntare un’analisi stilistica del pezzo ripescato in Francia. Si tratta di un volto maschile sbarbato, dall’età matura, avanzata -numerose le rughe che solcano il viso- e, come sostiene il Long, probabilmente inserito in una statua togata. Il marmo bianco utilizzato proviene dall’oriente, precisamente da Dokimeion (antica Frigia), nell’attuale Turchia. Un pregiatissimo marmo, questo, utilizzato certo da un committente di alto rango, che del resto si è potuto avvalere di uno scultore davvero abile. La parte posteriore del cranio è parzialmente mutila. Per cercare di ovviare all’impossibilità di valutare l’opera nella sua interezza, l’equipe del Long si è avvalsa dell’aiuto di specialisti della medicina legale, così da poter ricostruire il pezzo in versione tridimensionale con alcune delle parti mancanti. Oltre che nel cranio, infatti, la statua risulta scheggiata nella punta del naso e nell’estremità alta dell’orecchio sinistro, nonché spezzata alla base. La testa, sostenuta da un collo robusto, appare meno allungata rispetto agli altri ritratti di Cesare; leggermente si inclina poi verso destra e subisce nella resa una torsione che, seppur non violenta, risulta ugualmente plastica, ma di un plasticismo tenue e non imperioso, come se il volto nobilissimo si disponesse ad uno stato di magnanima autorevolezza, più che di autorità- viene in mente quella clementia tanto caratteristica dell’ultimo Cesare. Così la flessione e la rotazione del capo vanno a mettere in tensione i muscoli sternocleidomastoidei che risaltano, però, senza eccessiva evidenza e che, scendendo diagonalmente dall’alto verso il basso, si vanno ad intersecare con le tre spesse rughe orizzontali del collo. L’ampia fronte è percorsa da due pesantissime rughe - più profonda la superiore- e si impone alta e diritta, fin quando non incontra la cornice dei capelli, che disegnano un’accentuata stempiatura per poi ricadere in avanti nella parte centrale, segno, questo, di una calvizie ormai più che incipiente. Proprio i capelli procedono disposti in avanti a piccole ciocche flessuose. Due rughe orizzontali marcano la radice del naso, unendo le estremità sopraccigliari interne, le quali, a loro volta, si prolungano in due linee verticali e parallele, caratteristica di un uomo concentrato in grandi pensieri. Gli occhi s'adombrano per l'infossatura, dominati dalle spesse arcate, ma lo sguardo, come a voler scrutare l’infinito, appare certo intenso e penetrante, non già indeciso, e inoltre reso saggio dalle ripetute rughe che si dipartono dai canti. Le labbra si serrano in una linea che risulta alfine sottile, ma decisa. Le due piccole fosse agli angoli della bocca sono affiancate dai più grandi solchi naso-genieni che scendono dalle ali del naso e solcano con tracciato diritto e sicuro, rigonfiando così per breve tratto la cute prima delle scavate guance. Sopra di queste si mostrano pronunciati gli zigomi. In generale è tutta la struttura ossea che risalta, come è evidente anche dalle mascelle e dal mento. Sul collo, il pomo di adamo è inquadrato da un’insolita confluenza di rughe e muscoli. Dunque, il volto sembra riassumere e racchiudere nel suo profondo e tuttavia mai esasperato realismo un’intera vita spesa senza risparmio, come indicano la magrezza e i segni del tempo. Dal punto di vista stilistico, la verità estetica che contraddistingue il volto contribuisce a collocare l’opera in quel filone ritrattistico in cui realismo e psicologia si fondono con risultati che si allontanano dall’esasperato verismo repubblicano, in direzione di una resa di sintesi dei tratti fisici, secondo la lezione del ritratto greco ellenistico. Siamo, dunque, nel periodo finale dell’era repubblicana: non sembra trattarsi di una copia augustea, come invece ritiene lo Zanker. Nel confronto tra il ritratto del Rodano e il Cesare di Tuscolo, il Long ha potuto disporre delle più avanzate tecniche della medicina legale: i due busti sono stati sottoposti a scansione, così da poterne ottenere un’immagine tridimensionale che permettesse successivamente la realizzazione di calchi in resina a grandezza naturale. Poi, i volti così ricostruiti sono stati sovrapposti al computer. Osservando le immagini si notano certo delle differenze: il “viso francese” è meno allungato, ha gli occhi più piccoli e infossati, le orecchie meno aderenti al cranio e (per quanto è possibile vedere) le narici più larghe; la calvizie, inoltre, è meno avanzata. Le analogie sono tuttavia maggiori. Risaltano, in entrambi i ritratti, il mento pronunciato e il pomo d’Adamo prominente, nonché le profonde rughe del volto (non solo quelle frontali) e del collo (i cosiddetti anelli di Venere). Le pettinature sono simili, anche se le ciocche del ritratto di Torino sono più grandi e meno lavorate di quelle del volto francese; tuttavia simile è la caratteristica disposizione in avanti dei capelli, uso cui Cesare ricorreva per nascondere la tanto odiata calvizie: importante è il particolare delle basette che scendono a mo’ di ciocca falciforme. Soprattutto rilevanti tre osservazioni del Long: 1) i due busti presentano una strana fossetta posta proprio sopra il pomo di adamo - caratteristica questa abbastanza rara; 2) anche il ritratto del Rodano presenta, sebbene in forma meno evidente, il rigonfiamento del parietale sinistro (tipico del volto tuscolano): è evidente che questo elemento, patologico ed esclusivo dell’iconografia cesariana, sembrerebbe davvero deporre a favore della tesi dell’archeologo francese; 3) raffrontati di profilo i due volti sono sovrapponibili: addirittura, sostiene il Long, il naso del Tuscolo “rimpiazza la parte mancante di quello d’Arles”. L’analisi dell’archeologo francese potrebbe in realtà essere ampliata, individuando altri punti di somiglianza: volto asciutto, anche se il tuscolano è più scarno, zigomi prominenti, due rughe al limite alto del naso, tra le sopracciglia. Emergono altresì alcuni tratti di diversità. Specificamente, nell’esemplare del Rodano, rispetto all’immagine di Tuscolo, il dorso del naso appare più arcuato (nonostante il Long veda in questa “gobbetta” un punto di contatto); le rughe che si dipartono dal canto esterno degli occhi risultano più nette e ripetute; i solchi naso-genieni che scendono dalle ali del naso agli angoli della bocca, seguono un percorso convesso, mentre nell’altro esemplare sono arcuate e asimmetriche. Sul perchè la statua del Rodano fu gettata nel fiume sono state formulate due ipotesi: si era supposto dapprima che essa fosse stata abbattuta nei momenti concitati successivi al cesaricidio; ora invece si pensa alla distruzione della città avvenuta nel III sec. d.C., anche per spiegare la presenza nei fondali del fiume di reperti di epoca imperiale inoltrata. La questione, tuttavia, è molto più complessa di quanto possa sembrare ed è quindi opportuno trattarla in un altro lavoro. In conclusione, tornando all’identificazione del busto, va detto che, al di là delle somiglianze, comunque evidenti, con le fattezze di Cesare, c’è un argomento ragionevole sostenuto dal Long. Siamo in età tardo repubblicana, l’esecuzione è finissima e il marmo è pregiato, dunque la committenza è molto alta: di chi altro può essere il ritratto se non di colui per volere del quale la città di Arelate è divenuta colonia romana? Comunque la si pensi sull’identità del volto romano, vale certo la pena di visitare la mostra, anche per gli altri interessanti reperti in esposizione. Inoltre, cogliendo l’occasione, sarebbe auspicabile anche una tappa a Torino, al Museo di Antichità, dove, come si è detto, è conservato il Cesare di Tuscolo. E si farà certo un’amara constatazione: in Francia si è organizzata una grande mostra su un ritratto “incerto” di Cesare; noi, che ne possediamo l’unica immagine sicura, facciamo del nostro meglio per non valorizzarla. Bibliografia essenziale: •L. Long, Secrets du Rhône, Actes Sud, novembre 2008 •M. Beard, The face of Julius Caesar? Came off it!, in “Times Literary Supplement”, 14 Maggio 2008, on-line. •E. Rosso, Le nez de César, in “l’Histoire” n. 342, Maggio 2009, pp. 20-21. •P. Zanker, Der Echte war energischer, distanzierter, ironischer, in, “Sueddeutsche Zeitung”, 25 Maggio 2008, on-line. Condividi