Giovanni Russo Spena (da Liberazione del 13 gennaio 2010)
I l Senato comincia a discutere il cosiddetto "processo breve"; la Camera, dal 25 gennaio, comincia a votare il cosiddetto "legittimo impedimento" per il Presidente del Consiglio. Del progetto del governo fanno parte, in un "pacchetto" unico, le riforme contro la Costituzione che riguardano il rapporto tra giurisdizione e politica.
Questa volta l'avvocato Ghedini vuole andare sul sicuro. Il "legittimo impedimento", se approvato, conterrà, infatti, una disciplina transitoria che permetterà a Berlusconi di bloccare sostanzialmente i processi Mills e sui diritti televisivi, in attesa dei tempi più lunghi di una riforma che preveda lo "scudo penale", l'impunità, cioè, attraverso una norma di rango costituzionale. I veri nodi della riforma della giustizia, quindi, non c'entrano niente, (e sarebbe opportuno che le opposizioni parlamentari evitassero di cadere nell'astuta trappola berlusconiana, quella di lasciarsi legittimare come interlocutore delle riforme per poi omologare).
Si è, semplicemente e drammaticamente, scatenata una guerra contro la giurisdizione come sistema di controllo della legalità e di critica del potere. In nome della politica al primo posto (in maniera, quindi, insidiosa); dove, però, la politica è mera gestione di interessi, spesso di intreccio di economia legale ed illegale; sempre, comunque, comitato di affari a nome e per conto dei ceti dominanti. Le vere priorità della giustizia sono ben altre.
Oltre a quelle, ben note, che riguardano il sistema organizzatorio, il personale, le risorse, affinché si giunga realmente ad un processo più breve per tutte e tutti, ci battiamo per alcuni radicali interventi di forte segno democratico, anche per costruire un argine al degrado securitario razzista di un governo ultraliberista in economia e securitario e razzista per quanto concerne i diritti. Penso al disastro sociale delle leggi sugli stupefacenti, sull'immigrazione (con la vergogna del cosiddetto "pacchetto sicurezza" e del reato di immigrazione clandestina, che fa, come a Rosarno, del ministro dell'Interno un fomentatore della "caccia al negro"); penso alla condizione carceraria con i suicidi e gli assassinii dei detenuti; le vere riforme dovrebbero riguardare il codice penale e di procedura penale, con il rispetto della concezione costituzionale della pena, le misure accessorie alternative al carcere, la fissazione di un tetto massimo della pena detentiva. Repressione ed inefficienza vanno, infatti, di pari passo.
E' un errore politico gravissimo che, su questi temi, da troppi anni le sinistre permettano a queste destre anticostituzionali di dettare i parametri normativi e amministrativi; bisogna avere la volontà determinata di cambiare l'agenda stessa che il governo sta imponendo.
Il problema della giustizia è il lasciapassare giudiziario per il presidente del Consiglio? No, rispondiamo, il problema della giustizia è chiedersi, ad esempio, perché Stefano Cucchi venga ucciso da chi ha il dovere costituzionale di difendere il suo corpo e la sua integrità (habeas corpus). Altrimenti lo stato di diritto è già sfibrato e abbattuto. Perché mai dovremmo anche noi accettare il tema della "separazione delle carriere" come priorità? Lo dico da un punto di vista garantista. Non amo, infatti, la carcerazione preventiva né la sovradeterminazione che, in alcune fasi storiche pur vi è stata, del pubblico ministero rispetto al giudice con una sussunzione della complessiva fase giurisdizionale.
Ma oggi le cose non stanno come le racconta il governo (grazie anche alla riforma reale e sofferta che ha visto protagonista, nella scorsa legislatura il nostro gruppo parlamentare con l'apporto fondamentale del relatore Peppino Di Lello). Non è affatto vero che chi è stato pubblico ministero possa comparire il giorno dopo nello stesso tribunale come giudice. Il passaggio è consentito solo cambiando regione e ad alcune precise condizioni. Bene avrebbe fatto la magistratura associata ad accettare con convinzione quella riforma reale che puntava sulla "separazione delle funzioni" molto incisiva e non sulla separazione delle "carriere".
La magistratura associata non comprese, allora, che apriva il fianco all'attacco furibondo dei berlusconiani, con il mutamento dei rapporti di forza parlamentari e con noi fuori dal Parlamento. Le funzioni vanno separate con nettezza; ma giudice e pubblico ministero devono avere cultura comune appartenendo tutti allo stesso ordine giudiziario (è questo che prevede la Costituzione) altrimenti la separazione delle carriere porta inevitabilmente e automaticamente al controllo dell'esecutivo sul pubblico ministero.
Mi si permetta un'ultima osservazione. Con l'attrazione del pubblico ministero nella sfera dell'esecutivo verrebbe fatalmente a cadere il principio costituzionale dell'obbligatorietà dell'azione penale. Le scelte fondamentali di politica criminale (quali reati cioè vadano prioritariamente perseguiti) verrebbero lasciate, sostanzialmente, nelle mani del governo. Possiamo sottovalutare ciò? Io credo che questo governo, ad esempio, ci imporrebbe come priorità la lotta giudiziaria contro i migranti, i tossicodipendenti, la microcriminalità; del tutto secondaria diventerebbero la lotta contro la criminalità finanziaria e contro l'intreccio fra mafia, politica, amministrazione... Daremmo, in tal modo, ulteriore spazio al populismo securitario.
Recent comments
12 years 13 weeks ago
12 years 13 weeks ago
12 years 13 weeks ago
12 years 13 weeks ago
12 years 13 weeks ago
12 years 13 weeks ago
12 years 13 weeks ago
12 years 13 weeks ago
12 years 14 weeks ago
12 years 14 weeks ago