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Fulvio Fania Città del Vaticano Fini ha inviato una lettera. Compiaciuto e solidale con Migrantes, la struttura Cei che si occupa di immigrati. Gli "uffici di Maroni" hanno invece telefonato poco prima della conferenza stampa di monsignor Bruno Schettino e monsignor Giancarlo Perego convocata a Radiovaticana. Erano curiosi e, c'è da scommettere anche un po' preoccupati, di sapere che cosa stesse bollendo nelle sacre pentole. Non si conosce il testo della missiva del Presidente della Camera. «E' personale», ha spiegato infatti Perego, direttore di Migrantes, ma si sa che esprime sostegno alla Giornata mondiale del migrante e del rifugiato che la Cei celebrerà domenica prossima in tutte le parrocchie, con appuntamenti particolari in Campania. Tema prescelto: la condizione dei bambini e dei minori immigrati. Inevitabili i risvolti di immediata e drammatica attualità. Primo fra tutti il diritto alla cittadinanza. Schettino, arcivescovo di Capua e responsabile Cei per i migranti, è puntuale: «Diciamo sì alla cittadinanza secondo lo jus soli». Non più la discendenza "di sangue", dunque, ma la vita reale vissuta in Italia e, a maggior ragione, la nascita nel nostro Paese anche se da genitori stranieri. Detto questo, i vescovi non vogliono scendere nel dettaglio delle «condizioni» per tale riconoscimento, pur dichiarandosi «favorevoli» a «elementi base» come la conoscenza della lingua italiana, della Costituzione e la residenza stabile sul territorio. In altri documenti i responsabili di settore della Conferenza episcopale sono più dettagliati: cittadinanza subito per i nuovi nati e secondo norme da definire per i nati all'estero giunti in Italia prima dei 18 anni che oggi rischiano la mannaia dell'espulsione. Il pacchetto delle rivendicazioni Cei punta a «garantire ai minori immigrati una città e una casa» e «modelli nuovi di incontro». I minori stranieri in italia nel 2008 erano 862mila e aumentano al ritmo di 100mila all'anno. La ripresa della natalità è dovuta per l'11% proprio alle famiglie immigrate, senza contare nella statistica i figli di coppie miste o di immigrati che sono già cittadini italiani. La condizione si fa drammatica per i circa ottomila minori che hanno 15-17 anni e sono giunti in Italia senza i genitori. Difficilissima la vita anche per i rifugiati provenienti da paesi in guerra. In genere un bambino straniero - osserva Perego - perde sei mesi o un anno di scuola a causa delle difficoltà di ammissione. La Cei chiede perciò di favorire i ricongiungimenti familiari e, nell'attesa, di consentire attraverso un "cedolino" l'immediata iscrizione a scuola. Ma anche per il rinnovo del permesso di soggiorno l'immigrato spreca almeno un anno. Bisogna accelerare i tempi e fare incontrare la domanda e l'offerta nel mercato del lavoro. I vescovi non lo dicono, ma è l'esatto opposto della politica governativa e del principio "se non hai il lavoro te ne devi andare". Inevitabile poi l'attenzione di Migrantes alle trovate della ministra Gelmini. Che cosa pensano i vescovi del tetto del 30 per cento di alunni stranieri nelle classi? «Giusto riflettere», risponde monsignor Perego, su questo come su altri aspetti e tuttavia «preoccupa» che nella circolare il ministero lasci alla «discrezionalità» dei dirigenti scolastici la scelta se alzare o abbassare la quota. «In ogni caso - insiste il direttore di Migrantes - non possiamo lasciare i bambini fuori della scuola» e occorre un maggiore investimento nella finanziaria per adeguare i «modelli eduacativi» necessari ad una reale integrazione a scuola e, più diffusamente, nella città multietnica. E' il responsabile del Dossier immigrazione della Caritas, Franco Pittau, a smontare il pretesto con cui si vorrebbero giustificare le classi ghetto per stranieri: in realtà quei bambini conoscono la nostra lingua spesso molto più di quella dei genitori. Nell chiese, per "Giornata del migrante", il pensiero correrà ovviamente alla inquietante vicenda di Rosarno. «E' stata una guerra tra i poveri - commenta monsignor Schettino - e chi è stato maggiormente sconfitto è il più povero, cioè l'immigrato». La caccia al nero «ha messo in evidenza la debolezza del sistema di accoglienza e di integrazione». Un articolo de l'Osservatore romano ha ricordato quanto il razzismo sia duro a morire in Italia. Gli esponenti Cei preferiscono non usare quel termine. «Non è che l'Italia sia più o meno razzista di tanti altri Paesi; ha bisogno di riflettere sul tema della diversità e abituarsi a questa realtà», sostiene Schettino, il quale parla piuttosto di «tentazioni di xenofobia determinate dall'esplosione di tipici problemi sociali». Si riprende così un'opinione del cardinale Angelo Bagnasco, un po' sotto tono rispetto alle denunce di razzismo giustamente emerse in diverse occasioni da prelati e organi vaticani. Schettino invita inoltre a battersi «contro ogni forma di sfruttamento della xenofobia da parte della criminalità». Chi nella Chiesa è impegnato a favore degli immigrati può contare sulle parole che il Papa ha pronunciato domenica scorsa in piazza San Pietro. In un'intervista al mensile Jesus , anche il capodicastero della Santa Sede per i migranti, Antonio Maria Vegliò (che ha incontrato Maroni di recente), sostiene la necessità di una legge per la cittadinanza. «Un migrante con regolare impiego - afferma l'arcivescovo - uno che paga le tasse e rispetta le leggi del Paese che lo ospita, ha tutte le condizioni per aspirare a partecipare attivamente alla vita amministrativa e politica». «Non vedo motivi - conclude - per ostacolare il diritto legittimo alla cittadinanza». Condividi