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di Alessandro Bongarzone ROMA - Ennesima burla di Berlusconi. Aveva solenemente dichiarato, con il codazzo dei giornali amici, che avrebbe fatto la riforma fiscale entro l’anno, due sole aliquote e riduzione delle tasse. Sono passati pochi giorni ed ecco la nuova dichiarazione rilasciata nel corso della conferenza stampa al termine del primo Consiglio dei ministri del 2010 : “L’attuale situazione di crisi – ha detto il premier-non permette nessuna possibilità di riduzione delle imposte”. Certo, per dirla con Epifani, ci sarebbe piaciuto molto di più che il capo del governo, resosi finalmente conto della gravità della crisi, appunto, avesse assunto la sacrosanta decisione di “ridurre le tasse a partire da quest’anno a lavoratori e pensionati” che, come è assodato, ne pagano sempre di più, non foss’altro che per tentare di far riprendere i consumi. Ma tant’è! è già qualcosa che almeno sul terreno della “propaganda” il “nostro” l’abbia smessa di raccontarcela a modo suo e abbia preso atto dcella crisi che persiste. Il cavaliere scopre il debito pubblico Insomma, improvvisamente, il cavaliere si accorge che “l’attuale debito pubblico comporterà, solo di interessi, una spesa di 8 miliardi di euro all’anno e, pertanto - ha sottolineato - in questa situazione è fuori discussione poter pensare a un taglio delle imposte”. Secondo il capo del governo, comunque, “S’impone una semplificazione di tutto il sistema tributario, ma sarà un lavoro lungo, duro. Spero che possa essere sufficiente un anno, ma è un lavoro davvero improbo”. Niente da fare anche per quanto riguarda il quoziente familiare, tanto caro alla candidata presidente della regione Lazio, Renata Polverini che ne ha fatto il cavallo di battaglia in duetto con Casini. Anticipando coloro che oggi ricordano come questo metodo di tassazione fosse nel programma elettorale, “resta un nostro impegno, ma purtroppo- ha detto Berlusconi- non c’è nessuna possibilità che questo possa avvenire anche se - ha concluso - é la direzione prima su cui in futuro potremo convogliare una eventuale decisione sul calo delle tasse”. La maggioranza incapace ad affrontare la crisi La crisi economica, dunque, che il governo è incapace di fronteggiare, è il nuovo nemico del rispetto dei patti elettorali da parte del cavaliere. Una crisi economica che, proprio questa mattina, è stata fotografata dal supplemento periodico di BankItalia sulla finanza pubblica. Secondo la Banca centrale, infatti, le entrate fiscali nei primi undici mesi del 2009 sono calate del 3,4 per cento rispetto allo stesso periodo del 2008. Guardando ai valori assoluti, nella casse dell’Erario sono arrivati 330.315 milioni fra gennaio e novembre 2009, contro i 341.956 milioni dello stesso periodo del 2008 (-11.641 milioni) nonostante nel solo mese di novembre le entrate siano salite a 30.758 milioni contro i 28.489 del mese precedente. Tremonti se la prende con le imposte dirette Il dato di Bankitalia sulle entrate, peraltro, trova conferma nel bollettino mensile del ministero dell’Economia secondo cui il calo percentuale è stato, anzi, persino superiore arrivando a toccare il 3,9 per cento. Secondo i tecnici del ministero, l’effetto del calo di gettito, sarebbe “sostanzialmente imputabile all’andamento delle imposte dirette, IRES (Imposta sui Redditi delle Società) e IRE (Imposta sui Redditi), ed è giustificato sia dalla rateizzazione delle imposte versate in autoliquidazione, sia dal deterioramento del ciclo economico e dalla conseguente riduzione della base imponibile e, quindi, del gettito. Ossia, dalla Crisi. Il ministero, poi, anche se indirettamente, conferma le posizioni del segretario della CGIL, segnalando come, relativamente all’IRE “l’andamento rifletterebbe la variazione negativa delle ritenute da lavoro dipendente che evidenziano, comunque, una buona tenuta anche in presenza di una contrazione del gettito ascrivibile agli effetti della crisi sul mercato del lavoro”. Frase sibillina che, tradotta in italiano, significa a causa dei licenziamenti e della Cassa Integrazione, ci sono meno lavoratori paganti ma quelli rimasti pagano di più. Governo battuto su mozione Pd per il Mezzogiorno Ovviamente, di tutto ciò il capo del governo non fa menzione limitandosi alla mera segnalazione del nemico di turno che gli impedisce di fare gli interessi dei suoi elettori che, questa volta, veste i panni della “peggiore” crisi economica dopo quella del 29 e, manco a dirlo, quella del dopo 11 settembre. Come al solito, quindi, il primo ministro italiano scarica su qualcun altro le sue responsabilità e le sue sconfitte che, anche sul versante parlmentare, continuano ad arrivare. Ancora ieri sera, infatti, per la trentacinquesima volta in meno di due anni, il governo è stato battuto - nell’Aula della Camera - sulla mozione del Pd relativa alle iniziative da attuare per favorire l’occupazione del Mezzogiorno. Con 269 voti a favore e 257 contrari, l’Assemblea di Montecitorio ha approvato la parte della mozione del PD su cui il governo aveva espresso parere contrario. Il risultato è stato salutato da un forte applauso dai banchi dell’opposizione con un Dario Franceschini, capogruppo PD alla Camera, raggiante ha sottolineato come “il ricorso continuo alla fiducia serva come meccanismo coercitivo per una maggioranza che fa acqua”. Condividi