Le radici della dinastia dei Flavi affondano in Umbria. Vespasia Polla, madre dell’imperatore Vespasiano, era, infatti, originaria di Norcia e diede alla luce il futuro imperatore nel 9 d.C.
A distanza di duemila anni, la Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma ha organizzato una mostra davvero spettacolare, dal titolo Divus Vespasianus, che accoglierà i visitatori al Colosseo, al Foro Romano, al Palatino fino al 10 gennaio 2010.
La madre di Tito Flavio Vespasiano, che fu imperatore romano dal 69 al 79 con il nome di Cesare Vespasiano Augusto, proveniva da una ricca famiglia equestre di Norcia ed era sorella di un senatore. Svetonio afferma che il padre “Vespasio Pollione fu prefetto dell’accampamento e tre volte tribuno militare. (…) Ancora si trovava a sei miglia da Norcia, lungo la strada per Spoleto, una località sulla collina chiamata Vespasia, dove si trovano monumenti dei Vespasi ed edifici da loro eretti, che sono testimonianza dell’antichità e della grandezza di questa famiglia.”.
A Spoleto, grazie all’attività dell’archeologo spoletino Giuseppe Sordini, tra il 1885 e il 1914 sotto il municipio fu scoperta una magnifica casa romana, la quale “ci fa comunque intuire che la posizione ben visibile dal centro antico della città la individuava come abitazione di un personaggio ben in vista nella vita cittadina e di indubbie disponibilità economiche” (D. Marconi). La proprietà della casa è attribuita a Vespasia Polla, madre di Vespasiano e nonna degli imperatori Tito e Domiziano. La casa romana di Spoleto rispetta la planimetria e lo schema architettonico delle abitazioni romane appartenenti al ceto dirigente, tutto lo spazio è organizzato intorno al lungo asse che inizia dall’ingresso (fauces), passa attraverso una sala centrale (atrium) e arriva alla stanza principale di ricevimento (tablinum). Purtroppo l’ingresso della casa è andato distrutto. La casa era decorata: mosaici sui pavimenti, affreschi alle pareti, stucchi sui soffitti, elementi di terracotta sul tetto. Ben conservati sono i mosaici, tutti in bianco e nero; non altrettanto gli affreschi, di cui restano solo dei lembi.
“Nel bimillenario della nascita di Vespasiano viene offerta l’occasione per un riesame della figura dell’imperatore, con la duplice ambizione di ricostruire con rigore, e con il contributo dei migliori studiosi del periodo, il ruolo che il principe sabino e la dinastia da lui fondata ebbero nello sviluppo della storia imperiale, e di offrire il risultato di tali ricerche a un vasto pubblico di non addetti ai lavori: nella speranza, forse troppo ottimistica, di far emergere una visione della Roma imperiale meno banale e mistificante di quella corrente: dopotutto, tale realtà, se esposta senza pedanteria accademica, rischia di apparire meno scontata e più sorprendente delle stanche e ripetitive fiction, nutrite solo di sangue e sesso, che quotidianamente ci vengono propinate” (F. Coarelli).
“Vespasiano, rude e valoroso generale, risanatore delle finanze dello Stato romano a costo di ‘strizzare come spugne’ coloro che aveva fatto arricchire, era di origini borghesi municipali. Il suo nonno paterno Tito Flavio Petrone, di Rieti, centurione dell’esercito di Pompeo Magno, aveva disertato tornando nel suo paese per esercitare il mestiere di esattore delle imposte. Stesso mestiere per suo figlio Sabino, ma a livello internazionale: fu infatti esattore dei tributi nella provincia d’Asia. Questi ebbe due figli, il primo suo omonimo, Sabino, e il secondo Vespasiano, il futuro imperatore.
Vespasiano nacque in un piccolo borgo presso Rieti il 15 novembre del 9 d.C.
Dopo la toga virile, assunse il laticlavio (ornamento di porpora sopra la tunica), già ottenuto da suo fratello Sabino: ma lo fece malvolentieri, spinto dai rimproveri di sua madre, Vespasia Polla, che gli diceva: «Senza laticlavio sembrerai il battistrada di tuo fratello» (Luca Canali).
Dalla moglie Flavia Domitilla ebbe tre figli, Domitilla, Tito e Domiziano. Molto presto morirono sia la moglie che la figlia, e scelse come compagna, quasi come legittima consorte, una liberta con la quale aveva una relazione già da prima del matrimonio, Cenide.
“Il primo incarico di Vespasiano fu il tribunato militare in Tracia. Questore, ebbe il governo di Creta e della Cilicia. Con qualche difficoltà e dopo una prima bocciatura, fu eletto edile, infine pretore. Era allora imperatore Caligola, e Vespasiano, ormai in carriera, fece del tutto per ottenerne il favore. La sua ascesa politica ebbe fasi alterne. Poggiando sull’amicizia di Narciso, potente liberto dell’imperatore Claudio, ebbe la luogotenenza di una legione in Germania” (Luca Canali).
Partecipò all’invasione romana della Britannia, sempre sotto l’imperatore Claudio (43-44 d.C.), dove di distinse pel comando della Legione II Augusta sotto Aulo Plauzio.
Vespasiano sottomise l’isola di Wight e penetrò fino ai confini del Somerset, in Inghilterra e in ben trenta battaglie sconfisse sempre i suoi nemici. Ottenne perciò le insegne trionfali e nel 51 d.C. fu console. Si tenne quindi in ombra temendo l’ostilità di Agrippina, madre di Nerone. Nel 63 d.C. andò come governatore in Africa. Fu al seguito di Nerone e, nel 66 d.C. fu incaricato della conduzione della guerra in Giudea, che minacciava di espandersi a tutto l’Oriente e fu posto alla guida di tre legioni.
La morte di Nerone (68 d.C.) avviò un periodo di feroce violenza e di guerre civili. Nel terribile 69 d.C. si susseguirono al potere a Roma e morirono violentemente ben tre imperatori: Galba, Otone e Vitellio.
Nello scontro finale a Roma sul Campidoglio, si incendiò il Tempio di Giove Capitolino, e trovò la morte Flavio Sabino, fratello maggiore di Vespasiano, allora potente e stimato prefetto di Roma. Le truppe di Vitellio lapidarono un uomo che aveva servito Roma per trentacinque anni, amato e famoso in guerra e in pace: da lui era dipeso fino ad allora il prestigio della famiglia dei Flavi.
In questi conflitti, abilmente, intervenne Vespasiano, che eliminato Vitellio alla fine fu acclamato imperatore dal suo esercito sulla via del ritorno dalla Giudea, nell’estate del 69 d.C.
“Con Vespasiano l’impero compie una svolta ‘borghese’: dopo le ‘grandi famiglie’ della nobiltà il principato passa a questo rude uomo d’armi che inizierà una nuova dinastia, quella dei Flavi” (Luca Canali).
Nel periodo in cui Tito Flavio Vespasiano diventava imperatore, lo Stato si trovava in una situazione drammatica.
In Oriente era in corso la guerra giudiaca e Vespasiano aveva temporaneamente sospeso le operazioni militari. Durante questa interruzione, a Gerusalemme presero il sopravvento gli elementi estremisti con alla testa Giovanni di Gischala, che rafforzarono le difese della città e scatenarono persecuzioni nei confronti di chi era sospettato di avere sentimenti filo-romani.
Una volta proclamato imperatore, Vespasiano affidò il comando supremo in Giudea al figlio maggiore Tito. Nel 70, Tito iniziò le operazioni. L’assedio di Gerusalemme durò sei mesi, vincendo un’accanita resistenza. La città fu distrutta, i sopravvissuti furono ridotti in schiavitù. A tutti gli ebrei che vivevano nell’impero fu imposta una tassa personale in favore di Giove Capitolino, fu proibita la ricostruzione del tempio di Gerusalemme e sul territorio della città pose i suoi quartieri permanenti una legione romana. Tito tornò a Roma nel 71 e celebrò il trionfo con il padre Vespasiano e il fratello Domiziano. Il primo trionfo romano del padre con i figli.
Ma ben più impegnativo fu fronteggiare il movimento dei Batavi, popoli del basso corso del Reno guidati da Giulio Civile. Civile, dichiarandosi partigiano di Vespasiano, aveva sconfitto alcune guarnigioni romane che sostenevano Vitellio.
Dopo la vittoria di Vespasiano il movimento non era cessato, anzi aveva acquistato più forza e mutato il proprio carattere. A Civile si aggregarono le truppe del Reno, contrarie a Vespasiano. Iniziarono rivolte di alcune tribù galliche e anche i germani si mossero. Il movimento puntava ad una Gallia indipendente, imperium Galliarum. Tutte le postazioni militari romane sul Reno furono conquistate dagli indipendentisti.
La risposta romana fu affidata al generale Petilio Cereale, e in una battaglia presso Augusta Treverorum (Treviri) i Galli furono sconfitti in una accanita battaglia; con i batavi, invece, fu necessario raggiungere un trattato di pace. Era l’autunno del 70.
Anche in altre regioni dell’impero la situazione dava motivi di allarme. Nel Ponto, nell’anno 69, i partigiani di Vitellio avevano conquistato Trebisonda e seminavano terrore sulle coste del Mar Nero. Lungo il Danubio, i Sarmati e i Geti facevano continue scorrerie, e anche in Britannia regnava una forte agitazione.
Una delle conseguenze delle guerre civili era stato l’indebolimento della potenza militare dell’impero. Nelle legioni la disciplina si era decisamente allentata, i soldati si sentivano padroni della situazione vedendo che gli imperatori esercitavano il potere soltanto grazie a loro.
La situazione finanziaria dell’impero era disastrosa; all’inizio del regno di Vespasiano il deficit dello stato raggiungeva 4 miliardi di sesterzi. Si rendevano, dunque, necessarie misure drastiche ed eccezionali per fronteggiare la situazione, e Vespasiano fu all’altezza del compito.
Egli fu un ottimo amministratore e la sua azione determinò il consolidamento dell’impero. Fu eccezionalmente modesto e semplice e dimostrò di possedere una grande capacità di lavoro. Verso i suoi inferiori era molto esigente, ma non insopportabile. Possedeva un notevole senso dell’umorismo.
Si rese subito conto che uno dei compiti più urgenti consisteva nella restaurazione della disciplina nell’esercito. In questo campo, Vespasiano dimostrò una fermezza e una determinazione incrollabili. Le legioni germaniche, che avevano preso parte alla rivolta, furono pressoché tutte disciolte; diverse unità furono formate ex novo; il numero delle coorti pretoriane fu diminuito da 16 a 9; lo statuto fu modificato e, per aumentare la fedeltà delle truppe, furono arruolati solo italici.
Nel campo delle finanze, l’imperatore si fece promotore di eccezionali economie. Le spese di corte furono ridotte al minimo. Al riguardo, il senso di morigeratezza personale di Vespasiano ebbe non poca importanza. Eliminò il lusso e gli eccessi dell’aristocrazia. Introdusse nuove imposte e ripristinò vecchie tasse sia in Italia che nelle province, e non disdegnò di ricorrere a vari espedienti pur di raccogliere denaro (famosa è la tassa sulle latrine pubbliche).
I risultati della politica finanziaria di Vespasiano furono positivi. Egli non solamente coprì il colossale deficit e lasciò ai suoi successori il tesoro in buono stato, ma fu anche in grado di destinare grosse somme ai lavori pubblici. Durante il suo regno fu costruito il Campidoglio, eretto il tempio della Pace e iniziata la costruzione dell’immortale Colosseo.
Il principato non aveva alcuna costituzione scritta: ogni nuovo imperatore veniva acclamato dall’esercito e in seguito i suoi poteri erano confermati dal senato e, probabilmente, da una speciale votazione dei comizi. Tutto ciò esisteva più come diritto consuetudinario che come ordinamento stabilito da una legge. Vespasiano tentò di dare un fondamento giuridico al suo potere; di ciò parla la famosa iscrizione, nota sotto il nome di lex de imperio Vespasiani, conservatasi solo in parte. Essa ha la forma di un senatus consultum, al quale sembra fosse stata data la forza di legge con una votazione dell’assemblea popolare. Secondo questo documento a Vespasiano era stato concesso il diritto di compiere tutti gli atti che avesse creduto necessari per il bene dello Stato. Perciò il potere imperiale discendeva da una legge e non più da poteri divini come era stato per i Giulio-Claudi.
Il punto di svolta della politica di ‘stabilizzazione’ di Vespasiano fu affrontare la principale debolezza dell’impero: la politica provinciale.
Così come l’aveva inaugurata Caio Giulio Cesare, Vespasiano concesse largamente diritti di cittadinanza ai provinciali e specialmente agli abitanti delle regioni più romanizzate dell’Occidente. Così, molte comunità galliche e spagnole ebbero, sotto di lui, diritti di cittadinanza latina. Inoltre, negli anni 73 e 74 assunse la carica di censore e compilò nuove liste di senatori e cavalieri, rendendo il senato più indipendente dall’imperatore. In entrambe le categorie furono inclusi molti cittadini, tra i quali Gneo Giulio Agricola, originari delle province, in maggioranza occidentali. Questa misura implicava l’allargamento della classe dirigente e, nello stesso tempo, un ampliamento della base sociale dell’impero.
La fase del terrore e delle guerre civili aveva sterminato i rappresentanti dell’antica aristocrazia, cosicché le classi dirigenti andavano necessariamente rinforzate con nuovi elementi che non si potevano selezionare che nelle province.
Pertanto, Vespasiano ricostruì un rapporto positivo con il nuovo senato, perseguitando l’opposizione repubblicana guidata da Elvidio Prisco. In conseguenza di ciò, nel 72, furono esiliati anche i filosofi della scuola stoica, ideologi dei sentimenti repubblicani.
Vespasiano, ancora, avvertì la necessità e l’urgenza di influire più profondamente in senso politico e filosofico sull’opinione pubblica. Fondò così una scuola di retorica greca e latina con un vitalizio di più di mille pezzi d’oro l’anno. Fu il primo tentativo di istituzione dell’istruzione superiore statale. Si dice, peraltro, che Marco Fabio Quintiliano fosse il primo pubblico insegnante a godere del favore imperiale.
La politica estera di Vespasiano fu strettamente collegata al consolidamento interno dell’impero. La rivolta di Civile aveva messo in evidenza tutta l’importanza del confine renano, perciò la fascia presidiata dai romani sulla riva destra del fiume fu alquanto ampliata. La ribellione nel Ponto determinò un risveglio della politica romana nella zona del mar Nero: guarnigioni romane e posti di sorveglianza apparvero anche sulle coste orientali. In sostanza, in oriente Vespasiano abbandonò definitivamente la politica dei regni clienti, annettendone i territori alle province esistenti e creando delle nuove province.
In Britannia, inoltre, ebbe inizio una nuova offensiva romana, offensiva proseguita dai suoi successori.
“Ma anche i buontemponi, i buoni imperatori e gli uomini di ferro muoiono” (Luca Canali).
Vespasiano morì nell’estate del 79. “Aveva da poco assunto un nuovo consolato, e mentre si trovava in Campania fu assalito da febbre alta. Si fece subito trasportare nel borgo di Clotilia, presso Rieti, dove era solito trascorrere un periodo di riposo durante la calura estiva. Tuttavia non volle interrompere le sue attività, e giunse a ricevere dignitari, ministri, ambasciatori stando in letto” (Luca Canali).
L’abituale senso dell’umorismo non lo abbandonò nemmeno all’ultimo minuto; esclamò: «Ahimè! Sembra che io stia per diventare un dio! ». “Poi quasi ribellandosi alla condizione di infermo grave esclamò: «Un imperatore deve morire in piedi». E mentre cercava di alzarsi spirò fra le braccia di chi lo sorreggeva. Morì dunque il ventitré giugno, all’età di sessantanove anni, un mese e sette giorni.
Lo confortò fino all’ultimo la certezza che i due figli Tito e Domiziano sarebbero stati, contro ogni manovra o congiura, i suoi successori” (Luca Canali).
“A Vespasiano gli storici antichi riconoscono le tradizionali virtù sabine, che erano anche state di Curio Dentato e di Catone: austerità di costumi, pragmatismo non disgiunto da autoironia, disinteresse personale unito a dedizione della cosa pubblica. Le virtù che si dimostrano indispensabili per la salvezza dell’impero in un momento di grave difficoltà. Probabilmente le stesse che ogni epoca dovrebbe augurarsi di trovare nei suoi governanti” (F. Coarelli).
Stefano Vinti
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