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Da anni, in varie sedi, vado sostenendo che il problema principale della cultura in Italia non è quello delle poche risorse, che è reale, bensì quello della loro pessima utilizzazione. Anche nella nostra Umbria, rispetto all’arte contemporanea, ne abbiamo un caso eclatante che potrebbe essere solo ridicolo se non fosse disastroso, appunto, per come si spendono soldi con tanta leggerezza. Stiamo parlando del fatto che l’Umbria – cha ha un numero di abitanti corrispondente ad un quartiere medio di una grande città – ha ogni trenta chilometri un Museo d’arte contemporanea! Eccone un rapido elenco, iniziando dal sud della regione: a Orvieto il Museo Greco; a Terni il CAOS, a Spoleto la Galleria comunale d’arte moderna; a Trevi l’ex Flash Art Museum; a Foligno il recentissimo CIAC; a Spello la Villa Fidelia; a Deruta il Museo della ceramica; a Perugia il CERP e Palazzo Penna; a Umbertide il Centro per l’arte contemporanea; a Gubbio il Museo della scultura contemporanea (con opere all’aperto ed altre al “chiuso”, nel senso letterale, essendo il notevole patrimonio scultoreo ancora in magazzino); a Città di Castello i Musei Burri e, forse, un Centro per l’arte contemporanea. Se questi sono i principali “musei”, o “gallerie” o “centri” per l’arte contemporanea, non possiamo dimenticare le sculture sul territorio di Brufa, il Campo del Sole a Tuoro, le periodiche iniziative a Bevagna, Montefalco, Corciano, Gualdo Tadino, Assisi (qui c’è anche il Museo della Pro Civitate, assai interessante ma anche negletto, e la recente Fondazione Pericle Fazzini) e certamente abbiamo dimenticato qualche altra situazione. Questo elenco sembrerebbe il segno di una grande vitalità, ma la realtà è ben diversa delle apparenze, non verificandosi, in questo caso, l’hegeliano “ribaltamento dialettico” per cui la quantità diviene qualità. L’eccessivo numero di sedi è solo il segno di un campanilismo anacronistico e dell’assenza di una politica efficace in questo campo. A guardare con onestà intellettuale la vicenda dei luoghi dell’arte contemporanea, possiamo affermare che a Terni hanno allestito un ottimo museo, non presuntuoso, degli artisti del territorio che non presenta opere di maestri internazionali ma che fa bene il punto della cultura visiva umbra contemporanea; a Spoleto grazie, prima, alle donazioni degli artisti volute da Enrico Mascelloni e, poi, a quella del compianto Carandente, c’è una discreta collezione che, però, andrebbe arricchita e meglio curata; a Perugia il CERP per alcuni anni ha presentato artisti di fama mondiale (da Sol LeWitt a Plessi, da Beuys a Fontana, da Uncini a Castellani) ma da tempo è diventato luogo per artisti locali o per fiere alimentari; ad Umbertide la Collezione giace dimenticata in qualche magazzino come le sculture di Gubbio, mentre quelle nel parco Ranghiasci si avvinghiano con le erbe ed i rami degli alberi; a Castello la Collezione Burri, uno dei musei personali più belli del mondo, naviga con pochi soldi e quindi senza grandi progetti e, in sovrappiù, si parla di un altro Centro per l’arte contemporanea! Questa disseminazione senza programmazione unitaria disperde in iniziative similari, e tutte di basso profilo a parte rarissime eccezioni, quei pochi finanziamenti disponibili, mentre ci dovrebbe essere una concentrazione da parte delle Amministrazioni e degli sponsor per rendere degni del nome di “museo” (o “galleria” o “centro”) d’arte contemporanea soltanto quei siti che, per patrimonio, per storia, per vocazione, meritano maggior attenzione – considerando anche la differenza tra Museo con collezione e Museo come luogo espositivo per mostre temporanee – e precisamente: il Museo Burri, per la sua indiscussa importanza; quello della Scultura Contemporanea di Gubbio, sede di una storica Biennale di Scultura; la Galleria Comunale di Spoleto la cui collezione è la più importante in Umbria; il CAOS a Terni che presenta una buona selezione di autori umbri, anche se da aumentare e da perfezionare; poi alcune sedi andrebbero destinate alle mostre temporanee, classificandone i livelli, da quello internazionale a quello dell’esordiente e del territorio. Non possiamo esimerci, in questa sede, dal chiedere a chi di dovere il senso del recentissimo Centro di Foligno che sorge, per le velleità di qualcuno ben inserito al posto giusto, senza programmi e senza prospettive: ci si è chiesti quante persone servono per il funzionamento (ovviamente giornaliero, e non a corrente alternata!) di un museo? Quanti fondi per una serie di mostre di una certa importanza? Si consideri che il Museo di Rivoli che gode di finanziamenti milionari e quindi realizza mostre di eccezionale valore, a mala pena raggiunge i centomila visitatori all’anno, allora vale la pena spendere tante risorse pubbliche (in un certo senso lo sono pure quelle delle Fondazioni bancarie) per iniziative senza pubblico? Si badi, come studioso e curatore d’arte contemporanea ho sempre condannato le “mostre specchio per le allodole”, cioè quelle realizzate solo per avere un altissimo numero di visitatori, quasi sempre ignari di ciò che vedono dopo ore di fila, tuttavia ciò non mi impedisce di chiedere un taglio drastico dei rami secchi e di quelli nati rachitici e, allo stesso tempo, una programmazione che coordini e sviluppi le eccellenze: credo sia assai meglio andare a visitare una bella mostra a cinquanta chilometri che una brutta sotto casa, fatta per la vanagloria di qualche sindaco e assessore che, con la complicità di presunti “critici”, hanno la libidine del taglio del nastro. Condividi