Luca Manes, Crbm-Mami Tese (da Liberazione del 20 dicembre 2009) Fino a due mesi fa sarebbe anche potuto essere un successo epocale, un passo avanti decisivo nella difficile lotta contro i cambiamenti climatici. Adesso il vertice di Copenaghen sarà ricordato come uno dei più fragorosi fallimenti della storia dei summit internazionali. Un accordo, e non un trattato, di bassissimo profilo, così scarno da sembrare una brutta copia di un comunicato finale del G8, che già di per sé è garanzia di vuota retorica e poco altro. La procedura adottata per far passare il testo è ai limiti della legittimità istituzionale, se non oltre. Quanto pre-cucinato da Usa, Cina, Brasile, India e Sud Africa, sotto la spinta della presidenza danese, non è stato però gradito dai Paesi del Sud riuniti nel G77. Dieci anni dopo Seattle e sei dopo Cancun - le due ministeriali del Wto fatte saltare per aria dalle realtà più povere del pianeta - si è rischiato lo stesso flop. La COP 15, per quello che vale, è stata salvata in extremis dall'adozione di una formula che sa tanto di raccogliticcio. "La Conferenza delle parti prende nota dell'Accordo di Copenaghen", però nei fatti non lo vota e aspetta tempi migliori. I prossimi appuntamenti sono un incontro intermedio a Bonn tra sei mesi e la COP 16 a Città del Messico il prossimo dicembre. Ma se non sono bastati oltre due anni e la tanto attesa conferenza di Copenaghen per fare anche un solo passo avanti significativo rispetto a quanto indicato a Bali nel 2007, siamo sicuri che il 2010 possa essere veramente l'anno della svolta? Il G2 saprà sanare le divergenze sul sistema di monitoraggio del taglio delle emissioni o i fondi per il trasferimento di tecnologie? L'amministrazione Obama rischia di continuare a essere legata a doppia mandata alla linea congressuale, che sull'ambiente non è intenzionata a fare troppe concessioni. La Cina difficilmente potrà nascondersi dietro le istanze e il cartello dei Paesi più poveri, come fatto in alcune occasioni a Copenaghen in maniera strumentale e probabilmente dovrà prepararsi a fare qualche ulteriore concessione. L'Europa prova sempre a fare la prima della classe, ma poi arriva a questi appuntamenti importanti con divisioni e punti di vista discordanti che ne minano l'autorevolezza. E la pessima conduzione dei negoziati da parte degli stessi danesi, che si sono attirati continue accuse di scarsa trasparenza e utilizzo di metodi non democratici, è un'ulteriore macchia sull'immagine del Vecchio Continente. Nel gioco delle accuse incrociate, anche i Paesi del Sud si sono "meritati" la loro porzione di critiche. Come se non bastassero le minime concessioni fatte loro in Danimarca… I fondi promessi sono solo apparentemente ingenti. Il "fast start" di 30 miliardi di dollari fino al 2012, e i 100 miliardi l'anno entro il 2020 sono pochi, se si considera il debito ecologico dovuto dai ricchi del Nord ai poveri del Sud e gli impatti che questi ultimi dovranno subire a causa di un surriscaldamento globale al quale non hanno contribuito quasi per niente. Per l'adattamento e il trasferimento delle tecnologie pulite gli Africani chiedevano 500 miliardi l'anno, le stesse Nazioni Unite riconoscevano l'esigenza di arrivare almeno a 400 miliardi. Non è poi chiaro chi gestirà i soldi promessi da Obama & co. La Banca mondiale non viene mai menzionata nei documenti finali di Copenaghen, ma visto il suo recente iper-attivismo nel campo del business ambientale nessuno si meraviglierebbe se prima o poi dovesse rispuntare il suo nome. Il linguaggio dell'accordo apre alla possibilità di "investimenti attraverso istituzioni internazionali" che potrebbero includere la stessa Banca, nonostante la netta opposizione dei G77. Il ruolo dei privati nella raccolta dei fondi da destinare al Sud del mondo è certo ma non quantificato, con il contestatissimo mercato dei crediti di carbonio a farla sicuramente da padrone. In teoria i fondi dovrebbero essere "nuovi e addizionali", ovvero niente riciclo di vecchie promesse. Ma la formulazione adottata ricorda fin troppo quella di tanti G8 del recente passato. Insomma, da qualsiasi punto la si legga, Copenaghen è stata l'ennesima sconfitta dei Paesi del Sud. Sono stati traditi dai ricchi del Nord ma anche dalle economie emergenti, tanto che la posizione di Cina, India e Brasile all'interno del G77 andrebbe quanto meno chiarita al più presto onde evitare il volta faccia finale a cui abbiamo assistito in Danimarca. Il pericolo concreto, in vista delle prossime tornate negoziali, è che succeda quanto già verificatosi in ambito Wto, con le realtà più industrializzate a spaccare il fronte del Paesi meno sviluppati con le solite "offerte che non si possono rifiutare". Condividi