Brunetta fa male, anche alla salute. E la finanziaria taglia posti letto e posti di lavoro. Al palo il contratto nazionale, per i medici ospedalieri come per il resto del pubblico impiego. Difficile per un camice bianco consolarsi con quei 20 euro lordi mensili previsti dalla manovra - votata a scatola chiusa dal bivacco di manipoli Pdl - che, al netto, non fanno manco un caffè al giorno.
Certo, loro lo sanno che sono «grida manzoniane» nel giorno della fiducia alla Camera per la finanziaria. Però, se non cambierà il vento sulla sanità pubblica sono pronti a fare la loro parte, perfino a scendere in sciopero dopo un calendario di mobilitazioni che partirà già il 19 gennaio gennaio con assemblee nei luoghi di lavoro. In agenda due manifestazioni, il 4 febbraio a Napoli e il 16 a Milano e una scadenza nazionale il 9 marzo tutti a Roma. Un calendario articolato come la piattaforma resa pubblica ieri da quasi tutti i sindacati del comparto, assenti solo Cisl e Uil che sono poca cosa tra i medici del Servizio sanitario nazionale ma anche qui obbediscono al divieto di disturbare il manovratore. Un percorso di lotta che incrocerà la campagna per le amministrative visto che tre quarti del bilancio delle Regioni sono appannaggio della voce sanità.
Quello che vorrebbero i 150mila medici ospedalieri e veterinari è smontare la versione ufficiale per cui si spende troppo per il comparto e difendersi dalle insidie del decreto Brunetta. Non ci stanno a passare per fannulloni e a lavorare in «ospedali trasformati in caserme», così spiega Massimo Cozza, leader dei medici Cgil, la terza sigla del comparto rivendicando l'ampiezza del fronte sindacale. Quel decreto è «difficile da capire» - denunciano con Anaao, Cimo, Cgil, un'altra dozzina di sigle - ma è certo che regala alle amministrazioni poteri unilaterali su carriere, valutazioni, retribuzioni e disciplina, in baba al contratto nazionale. «Così - continua Cozza - visto che non è più possibile impugnare un provvedimento disciplinare, questo diventa un'arma discrezionale in mano ai manager». Si rischia il licenziamento per un calo di produttività genericamente indicato dal decreto e il decreto consente provvedimenti disciplinari prima ancora di una sentenza della magistratura.
Tutto ciò in un quadro reso ancora più fosco dalla finanziaria che ha incorporato il recente "Patto per la salute" siglato tra governo e regioni. E' vero, ammettono i camici bianchi, c'è qualche risorsa in più ma sono ancora scarse e non c'è nulla che assicuri forme decenti e concrete di assistenza», dice Carlo Lusenti dell'Anaao, nei territori in cui la scure di Tremonti abbatterà diecimila posti letto e toglierà 4 miliardi e mezzo da monte retribuzioni, l'1,4% in meno rispetto al 2004. Invece dell'ammodernamento sperato dagli addetti ai lavori e dai pazienti si sta preparando un deserto. I tagli aggravano i carichi di lavoro, aumenta la demotivazione in proporzione a quella che Cozza definisce «l'irresponsabile ragionierismo» che blocca il turn over nelle cosiddette regioni canaglia: Lazio, Sicilia, Campania, Abruzzo, Molise ossia le regioni con una maggiore incidenza della sanità privata. Eppure, cifre alla mano, i medici ospedalieri insistono che anziché tagliare meglio sarebbe spendere meno. Secondo l'Ocse, infatti, negli ultimi dieci anni la spesa sanitaria italiana è cresciuta molto meno rispetto a quella dei paesi industrializzati, 4,2% contro il 2,1%. Queste alcune delle proposte nel documento unitario: 110 miliardi euro per il 2010 e 115 per il 2011; un Piano nazionale per l'ammodernamento e la messa in sicurezza delle strutture pubbliche, per circa 15 miliardi in 10 anni; emanazione dei nuovi Lea (livelli essenziali di assistenza); abrogazione della "rottamazione" dei medici; soluzioni per gli 8.200 precari (ma è una stima in ribasso); fine del condizionamento della politica sulla sanità; provvedimenti concreti su libera professione intramoenia, governo e rischio clinico; rivalutazione economica e professionale, della dirigenza Ssn già a partire dal biennio 2008-09 e dell'indennità di esclusività, ferma al 2002.
Peccato che il nuovo ministro non li abbia mai convocati. Tutti i suoi predecessori lo hanno fatto al momento di insediarsi. Eccetto Sacconi. Che poi è l'autore di quel "libro verde" che, in nome del contenimento della spesa, voleva trasformare gli ospedali in fondazioni e sbilanciare i fondi pubblici sul pilastro della sanità privata.
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