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A sei anni dalla sua scomparsa, sento il dovere ed il bisogno di ricordare uno di quei personaggi che non solo ha lasciato un segno indelebile nello sviluppo di Terni, ma che ha saputo anche donare alla cittadinanza, ed a chi ha avuto la fortuna di lavorare con lui, la sua profondità umana, attraverso impeccabili doti di onestà, di dirittura morale, di bontà e di umorismo, che hanno fatto di lui un professore, un assessore, un comunista, un sindaco serio, laborioso, corretto, infaticabile, molto rispettoso degli altri, alieno da ogni forma di arroganza , di "trasformismo", di "consociativismo" e da ogni compromesso con "i poteri forti della città". Coinvolto con passione nella politica e nel P.C.I. ternano sin dagli anni sessanta, egli si è sempre posto dalla parte della classe lavoratrice, delle classi "subalterne", dei ceti deboli ed emarginati. In tutti gli ambiti lavorativi in cui si è trovato a confrontarsi nel corso della sua vita. Professore di lettere, greco e latino a cavallo tra gli anni '50 e '60, ha saputo trasmettere agli studenti del liceo classico "G.C. Tacito", una visione laica, democratica, di sinistra, che contrastava, senza irruenze o ostentazioni gratuite, con le altre componenti culturali allora prevalenti. Assieme ad altri docenti seppe straordinariamente collegare le radici popolari ed operaie della sinistra, alla realtà complessa e spesso fragile della borghesia cittadina. Fu sindaco di Terni dal 1970 al 1978. Da primo cittadino, era con i giovani studenti, lui, ex insegnante, silenziosamente a chiedere una riforma della scuola, una riforma che desse voce anche alla componente studentesca attraverso organismi partecipativi, perchè come si diceva allora, la scuola era solo del Ministero, dei presidi, dei professori, in piccola parte anche dei bidelli ma non degli studenti. Nel 1970, 318 donne ed uomini dello Jutificio Centurini venivano minacciati di licenziamento, per la chiusura a causa della crisi produttiva e di mercato. Le maestranze occuparono la fabbrica ed il sindaco Dante Sotgiu decise la requisizione della medesima per impedire l'intervento delle forze dell'ordine e salvando così dal licenziamento molti lavoratori. Negli otto anni in cui ricoprì la carica di sindaco, periodo di grandi conflittualità ideologiche, i lavori del consiglio comunale erano caratterizzati da scontri alle volte duri e stringenti. Il consiglio stesso era una sorta di cassa di risonanza delle tensioni cittadine in una fase di dense trasformazioni culturali e civili, dove la polemica era spesso tesa ed affilata: così capitò che l’avvocato Giuseppe Sbaraglini, eletto in consiglio comunale per il partito socialdemocratico polemizzasse con la giunta, pronunciando una parte del suo discorso in latino: la risposta di Dante Sotgiu fu in greco antico. In questo clima spesso aspro (sebbene mai si uscisse al di fuori del sano principio "del bene comune") egli riusciva, grazie alla caparbietà che lo caratterizzava e con uno stile spesso schivo ma concreto, a conquistarsi la stima, ed in molti casi anche l'affetto, dei suoi sostenitori e degli avversari politici; in nome, come affermava Sotgiu, "degli alti valori che non si dovrebbero dimenticare mai neanche facendo politica". Da uomo estremamente pignolo, spesso le sue richieste di chiarimenti e di verifica di dettagli facevano spazientire l'assessore di turno o i funzionari addetti, ma facevano emergere il suo grande amore per la città. Nel 1981 fu nominato presidente dell'IACP (l'ATER di oggi), un impegno che era strettamente legato all'attuazione del piano decennale della casa negli anni '80-'90, nel corso dei quali vennero realizzate oltre 1200 abitazioni. Inoltre, sotto la sua presidenza, venne realizzato un patrimonio di oltre 500 appartamenti destinati a quegli strati sociali che non potevano accedere alle case popolari propriamente dette. In politica, finita l'esperienza del PCI dopo la svolta della Bolognina e il congresso di Rimini, veniva eletto nel PRC presidente del comitato politico provinciale, affrontando questo nuovo compito con molto zelo e precisione e, coerentemente con le sue idee politiche, aveva sempre praticato le proprie convinzioni laiche tipiche di una concezione moderna e democratica dello Stato e delle Istituzioni, dimostrando di non voler mai porre alcuna resistenza nel favorire processi di innovazione e di rinnovamento. Ormai ottantenne e dall’apparenza fragile, partecipava alle manifestazioni nazionali del partito, affrontava i lunghi percorsi incurante delle condizioni climatiche avverse e delle raccomandazioni dei compagni. Nei suoi ultimi tre anni di vita, per la malattia aveva dovuto abbandonare la politica e non lo si incontrava più, fin quando non si spense il 16 dicembre del 2003. Dante Sotgiu, oltre ad essere un uomo integerrimo ed un grande Sindaco e a possedere tutte le altre virtù, così ben espresse nell’elogio funebre fatto davanti a Palazzo Spada dall’allora Sindaco Paolo Raffaelli, è un esempio di vita, di onestà e di amore verso il prossimo, in un mondo sovraffollato da personaggi tutt’altro che encomiabili. Condividi