Il 12 dicembre 1969 a Milano si compiva la strage di Piazza Fontana. Una bomba collocata negli uffici della Banca nazionale dell’agricoltura ed altri quattro ordigni tra Milano e Roma inaugurarono la "strategia della tensione", con sedici morti e quarantacinque feriti.
Con la strage di Piazza Fontana si avviò il più organico tentativo di bloccare il processo di rinnovamento democratico cha attraversava la società italiana.
La strategia della tensione fu una "guerra a bassa ntensità", concepita dalla connivenza tra borghesia industriale reazionaria, destra fascista, e servizi segreti deviati, con il sostegno degli Stati Uniti, in un mondo dominato dalla guerra fredda.
A questa strategia le forze del movimento operaio organizzato e la sinistra saldamente radicata nella società seppero offrire una risposta efficace e vincente.
Ricordare oggi la strage di Piazza Fontana non è rituale o giusta commemorazione: se quella strage cambiò il corso della storia italiana, oggi siamo di fronte ad una degenerazione politica, culturale e morale già consumata, che ha visto il potere politico assumere il volto terribile di un uomo solo. Un uomo sostenuto da una cricca affaristica tronfia della propria impunibilità, che lavora per smantellare
quel che resta dello Stato di diritto e del sistema democratico.
Il Paese è sfibrato socialmente, politicamente e moralmente. La sua capacità di reazione è assai debole. Berlusconi, rotto ogni indugio, punta allo smantellamento dell’impalcatura costituzionale e
sottopone il Paese ad una torsione autoritaria, sul modello della P2 di Gelli, da sempre tenacemente perseguita.
In questa situazione assai pericolosa per la salvaguardia della libertà, occorre una politica unitaria di tutti coloro che hanno percepito il pericolo, e che assieme rischiano di precipitare nel contesto neo-autoritario di Berlusconi. Occorre che il popolo, e non soltanto pezzi dello Stato democratico o della società civile, difenda la sua Costituzione e la legalità repubblicana. Nessuno si può sottrarre. E’ in
corso una vera e propria ‘emergenza democratica’ di cui sarebbe irresponsabile non vedere la gravità ed i possibili esiti nefasti.
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