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PERUGIA - Si è tenuta questo pomeriggio, a Palazzo Donini, la presentazione del volume “Gli internati militari italiani. Diari e lettere dai lager nazisti”, uscito la scorsa estate presso Einaudi e curato da Mario Avagliano e Marco Palmieri (leggasi la biografie a fondo pagina), ricercatori dell'ANPI Roma-Lazio. L’evento è stato organizzato dall’Isuc, Istituto per la storia dell'Umbria contemporanea. Tale volume rappresenta un passaggio importante nel percorso che, non senza fatica, sta compiendo la storiografia italiana, che per troppo tempo ha lasciato soltanto alla memorialistica dei reduci il compito di garantire dignità storica al drammatico fenomeno della deportazione e internamento in Germania dei militari italiani catturati dai tedeschi dopo l'8 settembre 1943. Sono stati sempre reduci come Claudio Sommaruga, Ugo Dragoni e Vittorio Emanuele Giuntella a compiere i primi determinanti sforzi per far uscire lo studio di questo fenomeno dall'ambito della memorialistica “privata”, aprendo le porte ad una sistematica riflessione storica a livello nazionale, che molto deve anche allo storico Giorgio Rochat, autore di una significativa prefazione al volume di Avagliano e Palmieri. Anche il mondo politico, solo in anni recentissimi e grazie soprattutto al carisma del Presidente della Repubblica, ha iniziato a trattare il fenomeno, nelle occasioni pubbliche, nei modi dovuti, svuotandolo da ogni retaggio retorico e considerandolo, a pieno titolo, il primo atto di Resistenza, compiuto consapevolmente (come il volume in oggetto contribuisce a sottolineare) da 650.000 italiani disposti a sacrificarsi per una Patria che, monarchica o repubblicana, comunque sarebbe stata da ricostruire su nuovi canoni. L'Isuc ha deciso di presentare questo volume nell'intento di proseguire su una strada già intrapresa negli ultimi anni, con la pubblicazione dei Diari di prigionia del nursino Enzo Colantoni e del perugino Carlo Sarti. L'incontro, alla presenza degli autori del volume, è statio coordinato dal direttore dell'Isuc Alberto Sorbini ha visto la partecipazione di Elena Aga Rossi, docente all'Università dell'Aquila e autrice, tra l'altro, di una fondamentale riflessione sull'8 settembre, e di Luciana Brunelli, storica e collaboratrice dell'Isuc, curatrice della pubblicazione del diario di Carlo Sarti. “Gli internati militari italiani. Diari e lettere dai lager nazisti” - Nel libro anche lettere e diari di internati Umbri Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 centinaia di migliaia di militari italiani furono disarmati dai tedeschi e posti di fronte ad una drammatica scelta: continuare la guerra sotto le insegne nazifasciste o essere deportati nei campi di concentramento? La gran parte di loro – circa 650 mila, tra cui 30 mila ufficiali e 200 generali – rifiutarono di continuare a combattere al fianco dei tedeschi e scelsero di non aderire alla Repubblica di Salò. La conseguenza del loro “no” fu la deportazione e l'internamento nei lager nazisti, non come prigionieri di guerra ma con lo status fino ad allora sconosciuto di IMI, Internati Militari Italiani, voluto da Hitler per sottrarli alla Convenzione di Ginevra e sfruttarli liberamente. Questa pagina sconosciuta della seconda guerra mondiale, della guerra civile tra italiani tra il 1943 e il 1945, della Resistenza e della Guerra di liberazione italiana ed europea, è stata a lungo trascurata e dimenticata nel dopoguerra. Ora torna a rivivere in un libro che la ricostruisce e la racconta attraverso la voce e gli occhi dei protagonisti, grazie a centinaia di lettere (sottoposte a censura e talvolta mai recapitate) e diari (spesso clandestini) scritti nei lager in quei drammatici giorni, rimasti fino ad ora inediti e “sepolti” in archivi pubblici, privati e di famiglia. Il libro contiene anche gli scritti di diversi internati umbri. I diari e le lettere degli IMI, inquadrati da una corposa introduzione storica, sono raccolti in nove capitoli, dal viaggio in tradotta verso i lager al ritorno a casa dei sopravvissuti, con un’appendice di foto e disegni dai campi. Ne emerge un affresco quanto mai nitido e dettagliato della vita (e della morte) nei campi di concentramento nazisti. Una sorta di storia “dal vivo” e “in presa diretta” della fame, del freddo, del lavoro coatto, delle violenze, dei crimini di guerra e degli altri avvenimenti che costarono la vita a circa 50 mila internati e segnarono per sempre tutti gli altri. Come nel caso del sottotenente del Genio Coralo Sarti, di Perugia, che il 13 aprile 1945, al momento della liberazione del campo di Wietzendorf annota nel suo diario: “E’ finita. Sul campo sventola la bandiera Italiana”, prima di trascrivere l’ordin del giorno della liberazione redatto dal comandante italiano Pietro testa: “Ufficiali, sottufficiali, soldati italiani siamo liberi! Le sofferenze di 19 mesi di un internamento peggiore di mille prigionie sono finite. Abbiamo resistito in nome del Re e della Patria. Siamo degni di ricostruire.Ufficiali, sottufficiali, soldati italiani! Ricordiamo i morti, morti di stenti, ma fieri delle facce sparute, sotto gli abiti a brandelli, con una fede alta come una bandiera. Salutiamo la patria che risorge, che noi dobbiamo far risorgere”. Dagli stratagemmi per aggirare la censura e le riflessioni segrete sui taccuini di fortuna (dalle minuscole agendine tascabili alla carta igienica tenuta insieme con lo spago) emerge inoltre come la scelta di non aderire – compiuta in massa da una generazione nata e cresciuta sotto il fascismo – fu un vero atto di resistenza (il segretario del partito comunista Alessandro Natta, ex internato, parlò di “altra resistenza” ma il suo libro fu rifiutato nel 1954 e pubblicato solo quarantadue anni dopo da Einaudi), che contribuì al riscatto dell’Italia e degli italiani verso la democrazia e la libertà. Un esempio emblematico è la lettera alla madre di Lodovico Granieri, di Bevagna (Perugia) che scrive: “Amavo la Patria, mamma, quella Patria alla quale oggi non credo più, alla quale non credo perché quel nome è insozzato dalla codardìa di chi se ne fece strumento di speculazione, a spese di chi, invece, con il suo nome sulle labbra e con il vostro, o mamme, cadde bocconi nella trincea. A spese nostre, per guadagno di chi pretese sangue innocente e genuino onde impinguare nella lussuria, nella dissolutezza e libidine del potere. Voglia Iddio che ci possiamo rivedere. Se così non fosse su questa terra, sarà in cielo. Abbiate di me, nonostante tutto, un bel ricordo e se non dovessi più tornare sappiate che vostro figlio ha fatto il proprio dovere di soldato, di cittadino e di uomo”. . “La rivendicazione della Resistenza antifascista – come scrive lo storico Giorgio Rochat nella prefazione del volume – si è ridotta per decenni al dibattito politico sulla guerra partigiana. Negli ultimi anni registriamo il recupero di una dimensione più ampia. Contiamo la resistenza contro i tedeschi delle forze armate all'8 settembre. Poi la guerra partigiana e la deportazione politica e razziale nei lager di morte. La partecipazione delle forze armate nazionali alla campagna anglo-americana in Italia. E infine la resistenza degli Imi nei lager tedeschi: le centinaia di migliaia di militari che invece della guerra nazifascista scelsero e pagarono la fedeltà alle stellette della patria. Tutti avevano ragione di sentirsi traditi dal re e da Badoglio, che li avevano abbandonati senza ordini agli attacchi tedeschi. Ciò nonostante, una grande maggioranza di questa massa di sbandati preferì la fedeltà alle stellette e la prigionia nei lager”. In seguito a questa scelta gli IMI andarono incontro – “volontariamente”, come scrisse nel suo diario clandestino Giovannino Guareschi, l’autore di Don Camillo e Peppone all’epoca giovane sottotenente, a venti mesi di prigionia, lavoro coatto, sofferenze e morte. Altri duecentomila (ai quali è dedicato un capitolo) fecero invece la scelta opposta e decisero di aderire alla Repubblica Sociale, per motivazioni ideologiche, ma anche per paura, ricatto, incertezza e confusione. L’esperienza dei lager riguardò (e segnò) anche alcuni tra i più importanti esponenti della cultura, dell’arte, della politica e delle professioni del dopoguerra, di cui nel libro sono contenuti diversi scritti inediti dell’epoca (come l’attore Gianrico Tedeschi, i senatori Paolo Desana e Carmelo Santalco, lo storico Vittorio Emanuele Giuntella, il manager d’industria Silvio Golzio, l’intellettuale cattolico Giuseppe Lazzati, il pittore Antonio Martinetti, il caricaturista Giuseppe Novello, il filosofo Enzo Paci, il musicista Mario Pozzi, gli scrittori Roberto Rebora, Mario Rigoni Stern e Giovannino Guareschi). Il libro di Mario Avagliano e Marco Palmieri riporta in piena luce, attraverso gli scritti dei protagonisti, questa pagina importante di storia italiana. Mario Avagliano è nato a Cava de’ Tirreni, vive e lavora a Roma. Giornalista professionista e studioso di Storia contemporanea, è membro dell'Istituto Romano per la Storia d'Italia dal Fascismo alla Resistenza e della Sissco e dirige il Centro Studi della Resistenza dell'Anpi di Roma-Lazio. Tra le sue opere: Roma alla macchia. Personaggi e vicende della Resistenza (Cava de' Tirreni 1997); «Muoio innocente». Lettere di caduti della Resistenza a Roma (in collaborazione con Gabriele Le Moli, Milano 1999). Per Einaudi ha curato il volume Generazione ribelle. Diari e lettere dal 1943 al 1945 (2006) e ha pubblicato Gli internati militari italiani. Diari e lettere dai lager nazisti 1943-1945 (2009). Marco Palmieri è nato a Isernia, vive e lavora a Roma. Giornalista e studioso di Storia contemporanea, ha lavorato per diverse testate; è membro del Centro Studi della Resistenza dell'Anpi di Roma-Lazio e ha pubblicato numerosi articoli e saggi sulla deportazione, l'internamento e le vicende militari italiane nella Seconda guerra mondiale. Per Einaudi ha pubblicato Gli Internati Militari Italiani. Diari e lettere dai lager nazisti 1943-1945 (2009). Condividi