Con la nomina dei suoi organismi dirigenti il partito democratico dell'Umbria ha fatto un passo avanti verso la sua normalizzazione. Come al solito ci asteniamo dal giudicare i risultati in termini di persone, in attesa di giudicarli sul piano dei fatti; salvo mettere in risalto - dal punto di vista di LettereRiformiste - che è caduto un altro motivo che ha consentito al Pd di starsene alla finestra a guardare il casino della strada E' qualcosa ma non è tutto. LettereRiformiste continua a pensare che il Pd debba farsi perdonare questi due anni sabbatici affrontando i suoi (nostri) problemi un po' alla volta ma risolvendoli. Tra i quali problemi due sono enormi: il tipo di partito da mettere al servizio del paese; le alleanze politiche necessarie a ritornare al governo. Avendo trattato con una certa assiduità il primo tema (ma ci torneremo) affronteremo oggi il secondo per il quale abbiamo delle scadenze esterne, essendo tremendamente vicine le elezioni regionali. Abbiamo già accennato alla novità di queste elezioni nelle quali per la prima volta nel dopoguerra la sinistra, risultati europei alla mano, parte in seconda posizione. D'accordo, erano elezioni non locali, d'accordo lo sbocco era addirittura sopranazionale, d'accordo il sistema elettorale era atipico rispetto alle elezioni locali. Ma in tutte le precedenti elezioni per il Parlamento europeo c'era uno sbocco particolare e particolare era il sistema elettorale. Solo che arrivavamo primi. La seconda differenza rispetto al passato sta nel fatto che la sinistra ha subito una mutazione genetica, anzi due: da una parte è nato un partito del riformismo democratico non ideologico, aperto (così dice il suo statuto) a tutta la società; e dall'altra è in crisi irreversibile la spinta propulsiva dei radicalismi legati a riferimenti sociali particolaristici e sostenuti da ideologie classiste. Si dirà che al momento di costruire le alleanze elettorali tutto questo non deve essere un elemento determinante per separare i rispettivi destini. Ne siamo pienamente convinti, però il discorso va portato oltre: se si ritiene che la profonda diversità che ormai si è stabilita tra il Pd e le formazioni politiche che stanno alla sua sinistra non sia in linea di principio ostativa ad un'intesa politica, non c'è nessuna ragione di considerare politicamente incolmabile la lontananza tra il Pd e un centrodestra che si sdogani dal berlusconismo. È qui va aperta una parentesi per ricordare che abbiamo più volte espresso la convinzione che Berlusconi e il berlusconismo non si abbattono con le ben centrate denunce di Marco Travaglio e di Anno Zero, talmente è forte il legame tra il Cavaliere e il suo elettorato, cioè tra Berlusconi e la maggioranza dell'elettorato italiano. Questo legame - come i fatti dimostrano - non lo scalza nessuno scandalo di nessun genere, perché esprime un attaccamento che ha almeno due radici, e forse tre: un atteggiamento ondeggiante degli italiani nei confronti del populismo e di leader forti; una ripulsa adamantina verso la (in)concludenza della sinistra provata purtroppo da due esperienze governative disastrose; e - forse - un profondo attaccamento popolare, non religioso ma identitario, alla Chiesa cattolica sostenuto da radici che non si possono liquidare in due parole, se non per ricordare che gli italiani la considerano romana (tale è per altro la sua identità storica) e quindi la trattano dandogli del tu. Siamo convinti che questo legame non sia indistruttibile e che possa essere sciolto a condizione di offrire un'alternativa politica concreta che non abbia le sembianze di un'armata Brancaleone, una prospettiva spendibile da parte di un blocco politico coerente e resistente alle intemperie (senza pretese di essere inossidabile, e nel rispetto dell'alternanza). Questo blocco attualmente non c'è non e bisogna costruirlo, cominciando da subito, con le idee chiare sulla direzione di marcia, perché ad Alice che gli chiedeva quanto fosse distante il luogo dove voleva andare, il gatto gli rispondeva che dipendeva da dove voleva andare. E allora se il Pd vuole mantenere la sua centralità, vocata o no, deve aprirsi su entrambi i lati dello schieramento proponendo a tutti quelli che ci stanno, lasciando stare i fronzoli di cui sono piene tutte le piattaforme programmatiche, un programma ridotto all'essenza e basato sulla difesa e l'allargamento dello stato di diritto e dei diritti sociali, un ampliamento delle libertà e una maggiore equità sociale, chiave di volta per ridare un aspetto civile ad un paese che sta scivolando neanche troppo silenziosamente verso una barbarie inedita nella sua (nostra) storia. Su questo palcoscenico c'è posto per tutti. Anche per una destra che voglia riallacciarsi alle tradizioni del liberalismo, disertate dal primo ventennio del secolo scorso, e a quelle della liberaldemocrazia da cui gli eredi del comunismo terzinternazionalista e dell'integralismo cattolico hanno tanto da imparare. Che il segretario Lamberto Bottini onori la sua nomina abbandonando la finestra e scenda in strada. Anche se si tratta di affrontare le insidie del traffico, compreso quello locale. Che sono meno traumatizzanti se si sta in mezzo al popolo delle primarie. Il coordinamento di LettereRiformiste Perugia 5 dicembre 2009 Condividi