rischio_frane.jpg
"Sono solo 30 le amministrazioni comunali che hanno risposto in maniera completa al questionario di Ecosistema rischio (circa il 33% dei comuni a rischio della regione) a dimostrazione che purtroppo ancora non c'è la dovuta attenzione per i problemi relativi al dissesto idrogeologico, considerando soprattutto che tutti i 92 comuni umbri sono stati classificati a rischio idrogeologico dal Ministero dell’Ambiente e dall’Unione delle Province Italiane nel 2003 - è il commento di Alessandra Paciotto, presidente di Legambiente Umbria in occasione della presentazione di Ecosistema Rischio 2009, l'ingagine sulle attività delle amministrazioni comunali per la mitigazione del rischio idrogeologico promossa da Legambiente e del Dipartimento della Protezione Civile - Ancora molto lavoro devono avviare i comuni umbri per monitorare, prevenire e informare sul rischio idrogeologico". Tra le amministrazioni comunali umbre intervistate, 80% hanno abitazioni in aree a rischio, in aree golenali, in prossimità degli alvei e in aree a rischio frana e nel 72% dei casi sono presenti in tali zone insediamenti industriali, che comportano in caso di alluvione, oltre al rischio per le vite dei dipendenti, anche il pericolo di sversamento di prodotti inquinanti nelle acque e nei terreni. Questi dati dimostrano come lo sviluppo urbanistico non abbia tenuto conto del rischio e come debba rimanere alto il livello di attenzione per frane e alluvioni. La stragrande maggioranza dei comuni intervistati (l'88%) ha previsto vincoli normativi per l’edificazione delle zone classificate a rischio idrogeologico. Nel 72% dei comuni sono stati realizzati interventi di messa in sicurezza dei corsi d’acqua e interventi di consolidamento dei versanti franosi, anche se talvolta tali opere si ispirano a filosofie superate e non adeguate rischiando di rendere più fragili i territori dei comuni a valle. "Se è vero che il problema è l’occupazione urbanistica di tutte quelle aree dove il fiume in caso di piena può “allargarsi” - dichiara Marco Pippi, responsabile acque di Legambiente Umbria - le opere di messa in sicurezza non possono trasformarsi in alibi per continuare a costruire nelle aree golenali. Nonostante tutto ciò sia ormai assodato nella teoria e sia cresciuta la sensibilità degli enti locali in questo senso, nella pratica sono ancora troppo pochi gli interventi concreti di delocalizzazione delle strutture a rischio. Nella maggior parte dei casi non vengono effettuati studi seri su scala di bacino per pianificare le arginature e gli interventi strutturali di prevenzione, attraverso i quali diverrebbe possibile anche porre rimedio agli errori del passato nella gestione dell’assetto idrogeologico del territorio". Bisogna poi considerare un assetto idrogeologico che è in continuo mutamento per le trasformazione avvenute negli ultimi anni sul bacino idrografico del fiume Tevere in seguito a imponenti opere di regimazione idraulica che hanno fatto sorgere numerosi invasi e derivazioni idriche per scopi energetici e di attività produttive. Tale dato mette in luce chiaramente come il territorio umbro sia sempre più fragile anche a causa di un uso non corretto del suolo e delle acque. Se osserviamo le aree vicino ai fiumi, salta agli occhi l’occupazione crescente delle zone di espansione naturale con abitazioni, insediamenti industriali e zootecnici, oltre che occupazioni derivanti da pratiche agricole (recinzioni, modificazioni delle sponde e delle fasce vegetazionali riparie per sfruttare al massimo le superficie coltivabili). Sebbene rispetto al passato si siano registrati segnali di cambiamento sulla gestione idraulica dei corsi principali, come il Tevere o Chiascio, per i restanti corsi, come quelli della Valnerina, gli interventi di messa in sicurezza continuano troppo spesso a seguire filosofie tanto vecchie quanto evidentemente inefficaci. Gli interventi sono concepiti sulla straordinarietà e non sulla ordinarietà e seguono sistemi a volte troppo impattanti. Le conseguenze sono ancora cementificazione, pesanti sbancamenti degli alvei naturali per l’edificazione di argini o rifacimento delle strutture spondali con scogliere o gabbionate piuttosto che seguire metodi di ingegneria naturalistica molto meno impattanti e ugualmente efficaci. Inoltre non vengono sempre eseguite le opportune valutazioni sull’impatto che possono causare a valle; tanto meno considerano le alterazioni che possono conseguire sulle dinamiche naturali dei corsi d’acqua sia da un punto di vista idrogeologico, sia per la tutela degli ecosistemi. Questi sistemi arretrati e inefficaci adottati solo seguendo il principio dell’urgenza e della convenienza, spesso costringono ad intervenire nuovamente dove già si era intervenuti per l’insorgere di nuovi danni di dissesto causati dalle ondate di piena successive: in sostanza un sistema costoso che non previene, non garantisce e non mette in sicurezza. Sostanzialmente positiva, invece, la situazione in Umbria per quanto riguarda le attività di pianificazione d’emergenza, uno strumento fondamentale per la sicurezza delle persone, sia al fine di organizzare tempestivamente evacuazioni preventive in caso di piena sia per garantire alla popolazione soccorsi tempestivi ed efficaci in caso di calamità. L’80% dei comuni, infatti, si è dotato di un piano da mettere in atto in caso di frana o alluvione, anche se solo il 60% lo ha aggiornato negli ultimi due anni, fatto estremamente importante giacché disporre di piani vecchi può costituire un grave limite in caso di necessità. L’informazione alla popolazione su quali sono i rischi, sui comportamenti individuali e collettivi da adottare in caso di calamità e sui contenuti del piano comunale d’emergenza, rappresentano una delle attività principali che i comuni dovrebbero svolgere: se la popolazione non si fa prendere dal panico, sa cosa fare e dove andare durante una situazione di pericolo, già questo rappresenta un fondamentale parametro di sicurezza. Dalla nostra indagine risulta, purtroppo, che il 36% dei comuni realizza attività di informazione rivolte ai cittadini. Inoltre, è necessario che le amministrazioni comunali organizzino esercitazioni rivolte sia ai responsabili delle attività di protezione civile sia alla popolazione. Le esercitazioni rappresentano un momento estremamente importante per valutare la reale efficacia di un paino d’emergenza e per mettere alla prova le reali capacità operative in caso di emergenza. I Comuni di Costacciaro e Montefalco in provincia di Perugia e Castel Viscardo in Provincia di Terni ottenngono questa’anno il miglior punteggio per l’opera di mitigazione del rischio idrogeologico, raggiungendo la classe di merito buono e il voto di 7. La “maglia nera” per la mitigazione del rischio idrogeologico viene invece quest’anno attribuita ai comuni di Magione (PG), Amelia (Tr) e Baschi (TR) che ottengono una valutazione insufficiente e il punteggio di 2. Condividi