5 dic si parte.gif
Toglietegli tutto, ma non la speranza. La speranza in una sinistra forte, unita, capace di contare e, soprattutto, di cambiare lo stato di cose presenti. Fiduciosi o scettici; critici o convinti, sono tutti lì a sentirsi dire che ce la possiamo fare; che la Federazione della sinistra è il primo passo; che non tutto è perduto. Così appariva, ieri al Teatro Brancaccio di Roma, la platea arrivata da tutta Italia per la nascita della Federazione della sinistra. Giovani e giovanissimi accanto a cinquantenni e settantenni; storie e destini diversi, ma tutti pronti alla standing ovation per Massimo Rendina (comandante partigiano), a cantare Bella Ciao e ad alzare il pugno al grido di «Ora e sempre resistenza». A vederli, potresti quasi dire che la Federazione della sinistra c'è già: aspetta solo che qualcuno se ne accorga. E' una platea numerosa (riempie il teatro oltre le aspettative) che ascolta attenta il dibattito; sottolinea sempre con applausi le parole "falce e martello" e "comunisti" e si lascia scappare anche qualche fischio (all'indirizzo degli esponenti del Pd presenti). E' silenziosa e partecipe mentre Barbara (Rsu della Omega) racconta dal palco l'incredibile storia dei call center Phonemedia/Agile, una moderna storia italiana da "prendi i soldi e scappa", con l'imprenditore nella parte del ladro e i lavoratori in quella dei "cornuti e mazziati", da mesi senza (il già magro) stipendio e nell'impossibilità di far fronte alle esigenze quotidiane: «Eppure siamo gente che lavora». La interrompono con gli applausi, lei ringrazia «i comunisti» (dice proprio così) che sono stati vicini alla loro lotta. Il punto è che queste storie il pubblico del Brancaccio le conosce bene, o perché le ha vissute sulla propria pelle - «Lei (Barbara della Omega, ndr) sarà licenziata a 34 anni. E io che ne ho 47?», dice quasi tra sé un signore poco distante - o perché le combatte da una vita. E chiede che finalmente qualcuno se ne faccia carico. La Federazione? «Quando la proponevamo noi - dice un militante del Pdci di Milano - ricevevamo pernacchie. Ora è una necessità». «Qualcosa andava fatto - aggiunge Giovanni, del Prc di Sesto Calende, un signore sulla settantina che si definisce «cittadino del mondo» - Io mi fido, sperando che abbiano tutti imparato la lezione: il nostro difetto è il protagonismo, devono tutti scendere dal pulpito. Chi metto tra i colpevoli? Bertinotti». E' il tema su cui batte anche Andrej, trentino, specializzando a Roma in scienze della politica: «Nella Federazione ci vogliamo credere, ma poi veniamo qui e vediamo questo palco… Iscrivermi? Vorrei, capisco che è importante, ma tutti questi schematismi…». Oliviero Diliberto, dal palco, sta dicendo che non ci si deve sentire «reduci» e che non si deve avere paura di chiamarsi «comunisti». Questo pubblico decisamente non sente il problema. «Io? Sono comunista - dice un barbuto compagno del Prc di Salerno - Peccato tutti questi distinguo». E anche lui sostiene che le «scissioni sono frutto di personalismi». «Mi limito ad osservare - si intromette Gianni da Napoli - che da quando i comunisti sono in declino, questo paese sta peggio». E Ruggero, da Ancona, pensa che «i comunisti dovrebbero fare un unico partito, Pdci e Prc divisi, che senso ha? Comunque ben venga la Federazione, se non è un modo per impedire l'unità dei comunisti. Sarebbe negativo». Ma - come dice nel suo intervento Lothar Bisky (presidente del Gue) e come ripete, concludendo l'assemblea, Paolo Ferrero - l'unità si fa lasciando fuori ciò che divide e tenendo quello che unisce. Anche questo è un principio che la platea del Teatro Brancaccio sembra avere già nel suo Dna. Emanuele, della Fgci di Catania, è consapevole che «da soli, anche con un unico partito comunista, non avremmo la forza» e che se «partiamo da ciò che ci unisce ce la possiamo fare». Stefano e Michele sono giovanissimi, 24 e 17 anni. Arrivano dalla Calabria, saliti con un «pullman di tutti ragazzi» apposta per partecipare alla nascita della Federazione (oltre che, ovviamente, al NoBday). «Fatta la Federazione - dicono - ora dobbiamo riempirla di contenuti. Chiamateci come volete, l'importante è che al centro della iniziativa politica ci sia il tema del conflitto tra capitale e lavoro. Per parte nostra siamo qui perché vogliamo portare i contenuti e le tematiche dei giovani». Anche Simona, una signora che viene dal Prc della provincia di Arezzo, avverte che «non è importante come ci chiamiamo, l'importante è che ci si occupi dei problemi della gente». Poi quasi sospira: «Troppe scissioni. Le regionali? Altrove forse no, ma da noi certamente si faranno accordi col Pd». E si vede che non ne è affatto contenta. Tra il pubblico ci sono esponenti di Sinistra e Libertà e del Pd; c'è Piero Bernocchi dei Cobas, c'è il costituzionalista Gianni Ferrara. Arrivano i saluti di Oskar Lafontaine; anche dal Brasile giungono auguri di buon lavoro: l'Italia è pur sempre un laboratorio che interessa, la cui storia ha insegnato molto proprio a quella America Latina che oggi mette a frutto ciò che ha imparato. Bisky lo dice senza retorica: «In Europa ci mancano i compagni italiani». Proprio Bisky è quello che usa le parole più dure contro Berlusconi, per il resto il Cavaliere è poco nominato: la platea non è "antiberlusconiana" alla maniera di Di Pietro, anche se tutti, poi, andranno in piazza. E non è un caso: la battaglia da fare non è contro "l'uomo" Berlusconi, ma contro le sue politiche. «Cosa faceva grande il Pci? Sapeva dare rappresentanza politica ai più deboli - dice Andrea (37 anni, di Latina) - Certo, c'è il tema della democrazia, del parlamento maltrattato, della Costituzione, dell'informazione. Per questo vado in piazza. Ma più di tutto è urgente dare risposte concrete alle persone, ai lavoratori, ai pensionati». Lo ribadisce anche Ferrero dal palco, rivendicando la scelta di aver fissato l'assemblea della Federazione lo stesso giorno del NoBday: «Siamo stati i primi a capire l'importanza di una mobilitazione nata in modo diverso, dal basso, sui blog. Anziché aderire avremmo potuto fare anche noi come il Pd: farci la "nostra" manifestazione. Invece no: partecipiamo al NoBday; è la prova che sappiamo stare con gli altri, ma con la nostra identità». Applausi, sventolio di bandiere (una bambina le vende all'ingresso del teatro) e poi si chiude con Bella Ciao, Bandiera Rossa e l'Internazionale. «E adesso? Concretamente?» chiede sempre un po' scettico Andrej. Viene da rispondergli: adesso tocca a te. Ma prima c'è il NoBday: sono le 14 e la manifestazione sta per cominciare. Condividi