di Angelo Morbidoni, segretario provinciale Prc
Gli operai della Thyssen di Terni non sono disponibili ad assecondare i piani contenuti nell’affermazione della Marcegaglia. Questa testualmente recitava: “dobbiamo cogliere con questo governo l’occasione di cancellare cento anni di storia caratterizzanti le conquiste operaie e sindacali".
Alle mobilitazioni dei giorni passati a difesa del contratto nazionale, ieri dopo l’ennesimo omicidio bianco accaduto all’interno della loro fabbrica hanno risposto con uno sciopero generale spontaneo di otto ore che si è protratto, grazie anche all’intervento dei sindacati, per le ulteriori ventiquattro ore successive. Uno sciopero anomalo, pieno di pathos, ma anche di consapevolezza e determinazione, nessuno degli operai è tornato alla propria casa, non è servito a scoraggiare la voglia di presidiare la fabbrica nemmeno l’inclemenza del clima.
Di conforto all’intenso freddo erano due bidoni che consumavano velocemente lo scarno carico, questi somigliavano a due grossi lumi votivi che davano all’insieme scarsamente illuminato una connotazione antica che evocava tempi e storie lontane, le fiammate alimentate dalle folate improvvise di vento flesciavano la lapide dedicata a Trastulli, un operaio che non esitò ad immolare la propria vita per difendere i suoi diritti e quelli dei suoi compagni.
La frase gridata come uno slogan, da un giovanissimo operaio ha rotto inusitatamente quel silenzio riservato, egli ha tuonato con voce imperiosa: “perchè non facciamo una manifestazione? perché non facciamo in modo che la città partecipi al nostro dolore? Questa vive del nostro lavoro".
La richiesta non è caduta nel vuoto, tutti quelli che eravamo a comporre il picchetto che impediva il passaggio degli autoveicoli abbiamo iniziato a pensare e ad esternare idee per organizzare seduta stante una grande manifestazione. Una parte di noi è rimasta davanti alla Tyssen, un’altra si è recata presso la sede della nostra federazione provinciale per assolvere al compito di produrre materiale che permettesse di veicolare previo massiccio volantinaggio la manifestazione che con un corteo doveva attraversare tutta la città. Dopo tante fatiche, alle ore diciassette, il corteo è finalmente partito in maniera composta dalle postazioni pensate per raccogliere i partecipanti. Durante il cammino dopo i toccanti slogan che inneggiavano alla memoria di Diego Bianchina le lacrime suscitate dall’emozione si mischiavano a quelle provocate dal vento gelido. Poiché Il ritmo tenuto dal corteo era troppo veloce, un ragazzo con il megafono ci invitava a rallentare, la richiesta anche se ripetuta più volte non è stata ascoltata, tutti noi non vedevamo l’ora di constatare come avesse reagito la città, per cui non reggendo l’ansia continuavamo ad accelerare per arrivare al centro prima possibile. Arrivati alla meta ci siamo resi conto che come avviene per un fiume in piena il corteo per ogni metro percorso si era arricchito di nuove presenze, le serrande dei negozi erano tutte abbassate e in modo spontaneo, dagli esercenti schierati davanti ai loro esercizi commerciali, partivano applausi di solidarietà che sovraccaricavano di emozioni i nostri cuori.
Il corteo per ringraziare rispondeva agli applausi con altri applausi. Arrivati alla fine del percorso, dopo brevi interventi di commiato, alcuni di noi sono andati a ringraziare le forze dell’ordine che con la loro disponibilità hanno permesso la realizzazione di questa pulsione partecipativa. Come considerazione finale vorrei utilizzare a modello di valutazione per l’operato del nostro partito sul territorio, una frase del nostro segretario Paolo Ferrero, a Terni, noi con la presenza, la costanza, la disponibilità, utilizzando il linguaggio più comprensibile alla nostra gente, non siamo più loro, non siamo più neanche questi, nella considerazione di tutti, ora siamo diventati noi, massa critica cosciente, che a titolo rappresenta una società operaia che ripudia tutte la forme adattative di mediazione e chiede radicalità e coerenza.
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