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Questo dicembre 2009 non avremo troppo da festeggiare, perché è morto un compagno di lavoro. Diego Bianchina, 31 anni, non doveva essere da solo a fare quel lavoro di travaso. La reazione chimica che l’ha ucciso non è stata una tragica fatalità per noi, ma la conseguenza di una generale condizione di insicurezza con cui conviviamo tutti i giorni che timbriamo il cartellino. Esalazioni, condizioni dei macchinari, bypassamento dei meccanismi di sicurezza... Potremmo scrivere un libro su questo, ma per Diego purtroppo sarebbe un’epigrafe. Allora cerchiamo di capire come è potuto succedere e cerchiamo di fare in modo che non possa accadere più. Anche se già il giorno 3 dicembre un guasto all’impianto PIX1 ha comportato uno sversamento di olio nel Nera, senza conseguenze dirette sui lavoratori. La logica del profitto passa sopra le nostre vite, sulla nostra salute. Dobbiamo assolutamente riportare in cima alle nostre priorità condizioni di lavoro che tutelino la nostra salute. Come fare? Facendo capire al padrone, che pensa solo al profitto, che il costo della salute e della vita degli operai è più alto di qualsiasi meschino risparmio. Dobbiamo abbattere quella logica che ha portato alla strage di Torino del 6 dicembre 2007 e alla morte di Diego quasi due anni dopo. La reazione di noi compagni di lavoro è stata immediata: abbiamo subito smesso di lavorare e ci siamo riversati in strada bloccando la produzione e la circolazione. Chi cavolo ce l’avrebbe fatta a continuare con il cadavere di Diego appena portato all’obitorio? Siamo rimasti in centinaia a bloccare viale Brin mentre la fabbrica si svuotava. Le parole vuote e stanche di ogni giorno di lavoro si sono riempite di rabbia, di ricordi, di consapevolezza delle condizioni di lavoro assurde cui siamo costretti ogni giorno per portare a casa a fine mese 1300-1500 euro. Per questo noi rischiamo la vita. La consapevolezza, la solidarietà e la rabbia si sono diffuse, mentre solo le finestre degli uffici amministrativi rimanevano accese. C’era una riunione tra azienda e rappresentanti dei sindacati concertativi. Quando è finita, alle 20 un delegato della FISMIC, a nome di tutti i sindacati, è sceso in mezzo al presidio pensando di poter portare la linea, di comandare gli operai come un gregge di pecore. “si entra in fabbrica, basta bloccare la produzione. Domani si sciopera per 24 ore, ma ora si rientra in fabbrica”. Chi credeva di trovarsi di fronte persone abituate ad obbedire, a non pensare, ad agire a comando è stato sommerso di paraculate. Molti hanno contestato pesantemente questa scelta irresponsabile. Infatti che cavolo di senso avrebbe avuto riprendere a lavorare poche ore dopo la morte di un compagno di lavoro. Lavoriamo con l’acciaio e sappiamo bene che il ferro va battuto quando è caldo. Rientrare perché? Solo per far piacere al padrone? Solo per riprendere la produzione? La scusa ufficiale è stata che così si sarebbero messe in sicurezza le siviere. Allora l’assemblea operaia ha proposto di far rientrare solo gli addetti alla messa in sicurezza di quel reparto, ma la malafede sindacale, la subalternità al padrone si è subito svelata: quello che si chiedeva era di riprendere il lavoro, passando sopra al cadavere di Diego. Allontanato il delegato ufficiale è ripresa la discussione con una sola sicurezza: nessuno a lavorare dopo un morto di lavoro. Dopo un’altra ora di blocco e presidio cominciano a circolare le voci che non c’è “copertura” per il blocco del turno di notte, che si deve tornare al lavoro perché così hanno deciso i sindacati. Noi operai sappiamo che i sindacati sono nati 150 anni fa per difendere i diritti operai e non gli interessi dei padroni. Il mondo si è veramente capovolto. Sale la rabbia e l’intervento di un lavoratore della confederazione Cobas denuncia il meccanismo ricattatorio che si basa sulla menzogna e sulla disinformazione: lo sciopero è un diritto del singolo lavoratore e non delle sigle sindacali. Questo è garantito dalla Costituzione. Ma chi ragiona in termini di cupola questo non lo può accettare. Si chiede ai delegati presenti di contraddire quello che è stato detto, nessuno ha la faccia di dire qualcosa. L’assemblea vota per indire uno sciopero. Saranno i Cobas ad indirlo, dalle 22 alle 6, per la morte di Diego. Centinaia di braccia si alzano, nessuno vota contro. Qualcuno va a inviare il telegramma ed i fax, altri vanno a stampare i volantini per i compagni di lavoro del turno delle 22, qualcuno rimedia legna, panini e vino per la notte. Gli operai hanno deciso e lo hanno fatto nella completa consapevolezza che l’unica arma per combattere le morti è combattere la logica del profitto, fermare la produzione. Il padrone deve sapere che la morte di un lavoratore gli costerà molto in termini di guadagni, produttività e produzione. Deve fare i suoi conti e sapere che ad ogni incidente, ad ogni morto gli impianti si fermeranno. Le parole sono decise e consapevoli. Chi produce con il suo lavoro la ricchezza sa anche che bloccare la produzione costa al padrone. Lo dovrebbero sapere anche quei delegati che chiedevano di riprendere la produzione di notte “perché tanto domattina c’è lo sciopero….!!”. Al presidio notturno fa freddo. E’ una strana giornata quella del 1 dicembre. E’ arrivato l’inverno, il freddo entra dentro e non è solo un fatto di clima. Anche se nel pomeriggio, dopo una breve pioggia per qualche minuto nel cielo è comparso un doppio arcobaleno. Come fosse stato l’ultimo saluto a Diego. Passa il turno delle 22. Entrano in pochi, i comandati, chi deve. Molti si fermano al presidio, continuano le discussioni. Si respira aria di libertà. Di tragica libertà. Dal presidio parte una proposta che subito prende corpo. Visto che domani, per 24 ore c’è lo sciopero, organizzare una manifestazione unitaria, spontanea, senza bandiere, contro l’azienda, nella città operaia che ha sempre difeso i suoi lavoratori. Che in fondo è figlia dell’acciaieria a cui deve la ricchezza, l’importanza ed anche tante contraddizioni, come l’inquinamento. Una manifestazione che attraversi il centro cittadino e arrivi sino a Palazzo Spada per chiedere un giorno di lutto cittadino per la morte di Diego. Che inviti a partecipare il 10 dicembre alla manifestazione nazionale a Torino contro le morti per lavoro. La notte passa rapida, altri volantini con l’indizione della manifestazione vengono stampati e sono pronti alle 6 per essere distribuiti ai cancelli. La mattina non entra nessuno, si cerca di ricomporre il dissidio con le gerarchie sindacali cercando di invitarle a partecipare alla manifestazione. La risposta è il boicottaggio dell’iniziativa: partono telefonate dei delegati per convincere gli operai a non partecipare al corteo del pomeriggio. Ma come all’inizio delle lotte del 2004 quando gli operai decidono non c’è nessun pompiere che possa trattenerli. Quelli di solito riescono a prevalere dopo. Alle 16 siamo alcune decine,viene tolto dal muro della fabbrica lo striscione del presidio di ieri ”Diego Bianchina, 31 anni, operaio Thyssenkrupp, morto di lavoro il 1 dicembre ‘09”. Non arriva l’amplificazione ma ci sono i megafoni. I mezzi sono quelli dell’autorganizzazione ma si respira una rabbia e una solidarietà che sembravano dimenticate a Terni, da almeno 5 anni. Alle 16.30 siamo già qualche centinaio, alle 17 quando partiamo siamo oltre 300. Prendiamo tutto viale Brin ed il corteo si ingrossa. I delegati sindacali, l’apparato tanto attento alle tessere non c’è. Era venuto solo per vedere quanti saremmo stati, quando hanno visto ingrossarsi il presidio sono scomparsi un’altra volta in silenzio. “Assassini, Assassini”, “Non si deve morire di lavoro”, “Morire di lavoro non è fatalità, ma omicidio coperto da omertà”. Gli slogan partono con il corteo che si ingrossa sempre di più e i negozi che abbassano in solidarietà le saracinesche e spengono le luci. C’è rabbia e commozione, partono applausi da parte dei cittadini, molti si uniscono al corteo. A piazza Tacito c’è un minuto di silenzio, il corso è spento, parte uno slogan ed il corteo si rimette in moto. Al corso siamo ormai molte centinaia, tanti escono dai negozi e applaudono, si uniscono al corteo. In piazza della Repubblica si spegne anche la giostra, in piazza Europa tutte le luminarie. Siamo arrivati sotto palazzo Spada. Si susseguono interventi di operai, rappresentanti del sindacalismo di base, i precari della scuola, un rappresentante della rete umbra “per non morire di lavoro”. Tanti obiettivi pensati ieri notte sono stati raggiunti: una manifestazione immediata per la città subito dopo la morte di Diego. La solidarietà della città. Ora le richieste al Comune: indire un giorno di lutto cittadino. Partecipare alla manifestazione del 10 a Torino contro le morti di lavoro. Adesso vogliamo anche che i responsabili paghino. Ad oggi sono 8 gli avvisi di garanzia emessi dalla Procura della Repubblica presso il tribunale di Terni, ma non è stato coinvolto nessun dirigente. Per noi chi trae profitto dal lavoro operaio è sempre il primo responsabile delle morti di lavoro e degli incidenti. Da oggi lavoreremo per mettere la salute di chi lavora al primo posto. Ora anche il padrone sa che ogni infortunio grave o morto gli costerà caro… Ciao Diego. ANCORA QUALCHE PAROLA SUL DIRITTO DI SCIOPERO: Sappiamo tutti quello che è successo per lo sciopero generale dei Cobas del 23 ottobre. Minacce e pressioni da parte di azienda e delegati sindacali che hanno diffuso la menzogna che solo i sindacati amici dell’azienda potrebbero indire scioperi. Tentativi di far abortire quello sciopero, lavoratori in sciopero che vengono messi in PAR, altri che riescono a non piegarsi ma che nella busta paga di novembre trovano scritto per le 8 ore del 23 ottobre “NPZ” cioè non piazzato. Su questo come confederazione cobas stiamo presentando una diffida all’azienda che se non accetterà lo statuto dei lavoratori e la Costituzione sarà citata in giudizio per comportamento antisindacale in violazione dell’articolo 28 dello statuto dei lavoratori. Condividi