di
Francesco Pullia*
“Brillante operazione di polizia, maxi piantagione di cannabis, arrestata coppia tifernate.” Questo il titolo che campeggiava domenica 14 ottobre 2007 su un quotidiano umbro a diffusione regionale, con tanto di foto, nell'articolo, delle piantine sequestrate.
La “brillante operazione di polizia” aveva portato all'arresto, il 12 ottobre, di Aldo Bianzino, quarantaquattrenne, tradotto nel carcere perugino di Capanne verso le 19, e della sua compagna, Roberta Radici.
Bianzino non era un narcotrafficante. Idealista, nonviolento, vegetariano, influenzato dalla spiritualità orientale, aveva scelto di vivere in montagna, sopra Pietralunga, in un posto dell'Appennino umbro-marchigiano difficilmente raggiungibile.
Per campare faceva l'artigiano, il falegname, e, stando a quel che si dice, era anche molto bravo e stimato. Voleva stare appartato, con la sua compagna e il figlio Rudra, lontano dal clamore cittadino, in sintonia con la natura e con uno stile più consono alla sua indole.
Chi conosce l'Umbria, sa benissimo che non sono pochi coloro che, stanchi della routine metropolitana, decidono di mollare tutto, ristrutturano casolari abbandonati accettando volentieri un po' di stenti pur di dedicarsi alla ricerca interiore.
C'è, sparsa tra i monti, una bella comunità di sognatori, poeti, musicisti. Qualcuno ha provato a ricreare un pezzo d'India, qualcun altro pratica sistemi di cura tradizionali, qualcun altro, ancora, si occupa di teatro.
Bianzino tutto era fuorché un individuo pericoloso, tale da giustificare un blitz in pompa magna. A renderlo, come milioni di italiani, un “delinquente” era ed è una legge probizionista sulla droga che continua a mietere vittime e a portare alla saturazione il sistema carcerario, una legge fuori di ogni logica che, con buona pace dei vari Giovanardi ma anche dello stesso Fini, ogni anno regala incalcolabili fortune alla criminalità organizzata.
Il suo reato? Farsi in santa pace qualche canna, magari con qualche amico, senza ledere niente e nessuno.
Quando, quella domenica del 2007, le locandine strillarono la “brillante operazione”, Aldo Bianzino era già morto in carcere e, in un primo momento, all'insaputa della sua compagna che era rilasciata per potere stare accanto al figlio allora quattordicenne.
Cosa accadde realmente in quelle trentasei ore tra le mura del penitenziario? Le cronache inizialmente parlarono di morte per un malore naturale. Ben presto, si capì che forse le cose erano andate diversamente. Innanzitutto va detto che Bianzino entrò sanissimo in carcere.
L'esame autoptico, effettuato il 16 ottobre dal dott. Luca Lalli escluse patologie cardiache pregresse e mise, invece, in evidenza lesioni agli organi interni, presenza di sangue in addome e pelvi, lacerazione epatica, lesioni all'encefalo, a fronte di un aspetto esterno indenne da segni di traumi.
Il 27 ottobre 2007 Sergio D'Elia e Bruno Mellano, allora parlamentari della Rosa nel Pugno, venuti a conoscenza del caso tramite i radicali umbri, e in particolare dal dott. Tommaso Ciacca, anestesista e dirigente del partito, rivolsero un'interrogazione al Ministro della giustizia per sapere quali inziative intendesse adottare “per far piena luce sulle cause che hanno determinato la morte di Aldo Bianzino.”
Nel frattempo si costituì il comitato“Verità e giustizia per Aldo” e due giorni dopo, il 27 ottobre, Luigi Manconi, sottosegretario alla giustizia, si recò in visita al carcere di Capanne e privatamente da Roberta Radici, compagna di Bianzino, e dal figlio Rudra.
Il 10 novembre, a Perugia si svolse una manifestazione nonviolenta con la partecipazione di numerosi giovani provenienti da varie parti d'Italia, di amici, familiari, cittadini.
Intanto, una seconda autopsia accreditò la tesi della rottura di un aneurisma cerebrale. Furono sempre riscontrate lesioni epatiche e la presenza di sangue nell'addome. Pur accettando l'ipotesi del medico legale, si affermò che l'emorragia cerebrale potesse essere stata causata da un forte stress di tipo fisico con improvviso rialzo della pressione.
I dubbi prendevano, intanto, consistenza. Ci si chiese e ci si chiede, ad esempio, come mai le indagini relative al decesso fossero seguite dallo stesso magistrato che aveva ordinato l'arresto di Bianzino, come mai la cella dove l'artigiano era stato rinchiuso non fosse stata sigillata e sottoposta a controllo da parte della polizia scientifica, come mai si sia subito richiesta l'archiviazione del caso e, ancora, come mai Aldo e Roberta fossero stati portati in carcere nonostante si sapesse che, trattandosi di un fine settimana, non sarebbe stato possibile alcun incontro con il magistrato prima del lunedì successivo.
Nell'aprile del 2008 i parenti di Aldo, alcuni esponenti dell'apposito comitato nonché i radicali rivolsero domanda affinché fosse consentito all'Associazione Nessuno Tocchi Caino di partecipare, in qualche modo, al processo. La richiesta venne respinta dal Tribunale.
Il 27 luglio di quest'anno l'on. Rita Bernardini, della delegazione radicale nel gruppo del PD, ha presentato un'altra interrogazione a risposta scritta, firmata da tutti i parlamentari radicali, con cui si è chiesto al ministro competente l'istituzione di “una commissione ministeriale per chiarire le eventuali responsabilità amministrative connesse con la morte del detenuto” nonché “un urgente ripensamento della politica fino ad oggi adottata per combattere il problema della diffusione delle droghe, ed in particolare sulla necessità che anche l'attività di coltivazione di sostanza stupefacente il cui ricavato sia destinato ad uso esclusivamente personale sia depenalizzata in conformità a quanto previsto dal referendum del 1993”.
In novembre, il figlio di Aldo ha portato al VII Congresso di Radicali Italiani la sua toccante testimonianza decidendo, tra l'altro, di iscriversi al partito.
Verso la fine di novembre, intanto, il gup di Perugia ha rinviato a giudizio al prossimo 28 giugno, per omissione di soccorso, omissione di atti di ufficio e falso, l'agente della polizia penitenziaria in servizio durante la detenzione di Bianzino.
“A detta degli altri detenuti del reparto”, ha denunciato recentemente il padre di Bianzino, “durante la notte Aldo aveva suonato più volte il campanello d'allarme ed aveva invocato l'assistenza di un medico, sentendosi anche, pare, mandare al diavolo dall'assistente del corridoio”.
Adesso c'è il rischio che nell'udienza fissata a porte chiuse per venerdì 11 dicembre si tenti nuovamente la strada dell'archiviazione. Se ciò avvenisse sarebbe un ennesimo duro colpo alla giustizia nel nostro paese. Per questo i radicali, e non solo loro, si stanno mobilitando ed è previsto l'arrivo a Perugia di Marco Pannella.
E' evidente l'estrema gravità della vicenda ed è inammissibile che il Parlamento, radicali e Luigi Manconi a parte, non ne avverta la responsabilità. Il PD, in particolare, non può ignorarla o prenderla sottogamba. Sarà il nuovo segretario, Pierluigi Bersani, a Perugia l'11 dicembre? Noi ci auguriamo di sì.
* della Direzione nazionale di Radicali Italiani
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