I disoccupati in Italia sono più di 2 milioni (per l’esattezza l’Istat a ottobre ne aveva calcolati 2.004.000), cifra pari all’8% della forza lavoro. Un dato che non si vedeva dal 2004, quando il Paese stava uscendo faticosamente dalla prima recessione del nuovo secolo. Malgrado ciò il governo Berlusconi trova soddisfazione da questo fatto poiché, come ripetono in continuazione i ministri Sacconi e Scajola, l’Italia starebbe meglio del resto dell’Europa area euro, dove la disoccupazione tocca mediamente il 9,8% (per l’Europa allargata a 27 siamo invece al 9,3%).
Ma quello che non ci dicono i nostri ineffabili ministri è che dietro al nostro “brillante” risultato c’è un trucco che si chiama “cassa integrazione”, una forma di soccorso ai dipendenti delle aziende in crisi che, come sappiamo bene, rappresenta il più delle volte l’anticamera del licenziamento, e che, pur non assicurando alle famiglie un’entrata sufficiente per vivere, consente di non far comparire questi lavoratori nel novero dei disoccupati.
Negli altri Paesi europei non esiste la cassa integrazione e i dipendenti che perdono il lavoro divengono immediatamente disoccupati. Ma è proprio questa condizione che consente loro di percepire un assegno mensile fino a che non avranno trovato una nuova occupazione: assegno infinitamente più sostanzioso della miseria che viene elargita ai nostri lavoratori con la cassa integrazione che, oltretutto, è a tempo e dopo un po’ non viene più erogata, anche se il lavoratore, pur avendola cercata, non ha trovato una nuova occupazione.
Si tratta, in altre parole, di quel “reddito sociale” del quale si è tornati a parlare in Italia per merito soprattutto di Rifondazione Comunista e per ottenere il quale ci sarà molto da lottare.
Ora, se in Italia sommassimo ai lavoratori senza occupazione anche i cassintegrati, molto probabilmente andremmo ben oltre il dato europeo.
La riprova di ciò l’abbiamo andando a vedere ciò che accade fra i giovani in età compresa fra i 15 e i 24 anni, ovvero in una fascia di lavoratori che per curriculum professionale non è generalmente coperta dalla cassa integrazione. In questo caso abbiamo una disoccupazione giovanile italiana che si attesta al 26,9% (è sempre l’Istat a dircelo), contro il 20,6% della media europea. Il che non è davvero male per un governo che conta fra le sue fila anche un ministro per la gioventù che non si accorge, o fa finta di non accorgersi, al pari dei suoi colleghi Sacconi e Scajola, che quasi 1 su 3 dei nostri ragazzi non ha un lavoro.
Ciò che ci preoccupa, dunque, è che non solo chi ci governa non fa nulla per combattere questo fenomeno, non preoccupandosi di approntare misure strutturali per impedire che questa situazione già drammatica finisca per incancrenirsi del tutto, ma trova da questo addirittura motivo di compiacersi e per raccontare che il peggio è ormai passato, perché la crisi sta per finire.
Intanto, l’Istat ci dice che solo la crescita “ufficiale” della nostra disoccupazione si misura in un decimale di punto ogni mese, che cresce in continuazione anche il numero degli sfiduciati, ovvero di chi, vedendosi sbattere le porte in faccia, hanno cessato di cercare un’occupazione. Ad ottobre erano qualcosa come 14 milioni è 741 mila e neppure loro figurano fra i disoccupati. Che in questo quadro a pagare lo scotto maggiore sono le donne, il cui tasso di inattività è del 48,6%, ovvero quasi una su due se ne sta a casa non potendo realizzare la sua indipendenza economica.
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