«Mica ci si sposa. Si fanno delle battaglie. Senza essere schizzinosi. E men che mai ortodossi». Perciò secondo Maria Rosaria Marella, giurista e esponente di Socialismo 2000, sabato 5 dicembre può esserci una continuità fortunata tra l'atto fondativo della federazione della sinistra di alternativa al mattino e il NoBday del pomeriggio.
Dopo la disfatta dell'Arcobaleno e alla luce dell'esperienza come candidata alle europee, in questo momento quale vedi come limite maggiore della sinistra?
Lo scollamento rispetto alla propria base sociale possibile, la difficoltà di intercettare e interessare le persone. In campagna elettorale ci si è rivolti per lo più ai militanti. Questo, secondo me, anche a causa di una cultura politica e di un linguaggio vecchi.
Quando e come si è verificata questa divaricazione tra politica e popolo?
Penso che molto sia dovuto al sistema elettorale. Il maggioritario ha progressivamente prodotto questo effetto per cui fasce sempre più vaste di popolazione e interessi perdono rappresentanza e quindi possibilità di interloquire.
Ma c'è ancora una sinistra in Italia o ha ragione chi dice che non esiste più oppure è una sacca residuale?
C'è una sinistra nella misura in cui ci sono persone ancora sensibili alla libertà, i diritti e l'uguaglianza. Ma ci sono anche molta confusione e un linguaggio stantio: parole d'ordine in cui si riconoscono i militanti ma non i movimenti giovanili che, come l'Onda, sono molto più interessanti e plurali.
Per fare un esempio in una parola?
Preferisco farlo in positivo: la precarizzazione non del lavoro ma dell'esistenza, il reddito sociale, i beni comuni sono parole d'ordine di una cultura molto impegnata e viva. Ciò dovrebbe fare molto più parte del discorso della sinistra.
Che invece predilige azzuffarsi sul soggetto politico anziché convenire sui predicati, sul da farsi…
Esatto. L'agire politico dovrebbe essere prioritario, mentre è via via stato omesso.
Dedicare tanto tempo alle forme dell'organizzazione alla fine non ti permette di affrontare i concreti processi in atto, che non richiedono salvatori ma azioni politiche mirate. Anche in questi mesi, mi dispiace che, mentre si organizzava la federazione come struttura, contemporaneamente non si sia pensato ad agire in modo da metterla a frutto. Quanto più la federazione sarà aperta a soggetti, personalità, contenuti, tanto più e meglio riuscirà. Mi pare giusto che si sia pensato a una federazione in cui i partiti rimangono come sono, ma che al contempo debba proporsi come spazio di democrazia diretta. Occorre davvero allargare il più possibile a soggetti e contenuti, e allargare essi stessi. Invece accade ancora che ci voglia la patente per essere ammessi a certi circoli o che ci sia, per esempio, un certo elitarismo del femminismo storico.
In che modo si può fare questo salto? Realizzare attraverso la federazione quel coinvolgimento che sinora è mancato?
Rinnovando la cultura politica. Ma non leggendo qualche libro in più. Secondo me è cruciale ascoltare e capire le tensioni, i disagi, le passioni dei movimenti giovanili. In questo senso la scuola e l'istruzione sono un grande contenuto: basterebbero da sole a far fare alla sinistra il salto di qualità che le manca. Sullo sfondo di questa precarizzazione delle esistenze, bisognerebbe cercare di cogliere quel che si è determinato nella crisi del capitale tradizionale: abbiamo intere generazioni di 30/40 enni che sono senza futuro, persone il cui lavoro viene sfruttato ed è alienato, una produzione di immateriale che va al di là del problema della condizione operaia. Tutto questo non è stato preso in considerazione. O, se lo si è fatto, si è fatto in malafede. Invece è una gigantesca questione sociale. Quello degli studenti e della ricerca è un mondo che non può solo ascoltare la politica, ma invece può dare una mano: ha un'autonomia e una ricchezza straordinarie, dove certo non puoi entrare con la sciocca idea di egemonizzare. Non mi pare infatti che le organizzazioni giovanili dei partiti abbiano gran voce. Occorre, insomma, imparare a cogliere le affinità e gli elementi paradigmatici che ci sono nei conflitti, si tratti della dismissione di un'impresa o dell'attacco alla scuola, per convogliare energie verso una lotta unitaria. Un appuntamento improcrastinabile, in questo senso, è quello coi migranti, che permette di connettere tensioni sociali verso battaglie condivise. Con questo sviluppo capitalistico sta crescendo a dismisura lo sbandamento sociale: dentro i grandi ipermercati si disgregano i legami sociali, mentre d'altra parte si dissolvono i grandi involucri produttivi e sociali del secolo passato. Mi pare una fase difficile ma anche politicamente promettente: bisogna saper stare nei conflitti con l'attitudine a capire e partecipare senza pretese. Siamo all'inizio: la federazione si presenti col massimo di apertura e scambio con tutte le forze e i movimenti, con l'ambizione di essere un soggetto in grado di aggregare. Bisognerebbe che questa fase sia contrassegnata da questa ambizione.
Che però significa assumere una volta per tutte che è finito il tempo delle identità omogenee e ortodosse e si fa spazio, anche attraverso la rivoluzione digitale, quello delle parzialità, delle differenze, delle transitorietà…
La rivoluzione informatica è insieme anche un elemento unificante, come dimostra il 5 dicembre. Una cosa che ha sempre nuociuto e nuoce è invece un certo dogmatismo, che nonostante tutto rimane, rimane l'ortodossia. Questi vanno abbandonati.
Può esserci una continuità tra la federazione che si riunisce al mattino e il NoBday del 5 pomeriggio? In che misura e natura?
Ci può essere anche chi ha un istintivo snobismo, ma indubbiamente Berlusconi è un problema di questo paese. Che ci sia un popolo che vuole difendere democrazia e Costituzione è un fatto positivo.
Sia per la federazione che per tutta l'opposizione?
Certo. Mica ci si sposa. Si fanno delle battaglie. Senza essere schizzinosi. E men che mai ortodossi.
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