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PERUGIA – Quattro famiglie immigrate in Italia, provenienti da Ecuador, Nigeria e Marocco, con le loro storie ed esperienze in una terra straniera, viste anche attraverso le immagini di vita quotidiana, le voci, i volti, le aspettative e le difficoltà di adolesescenti, giovanissimi e genitori: è questo il filo conduttore di “Noi siamo qui - Conversazioni con quattro famiglie immigrate”, il documentario prodotto dalla Caritas di Città di Castello con il sostegno della Regione Umbria e presentato stamani a Perugia nella Sala della Partecipazione di Palazzo Cesaroni. All’incontro, nel corso del quale sono state proiettate parti dei 45 minuti della pellicola, erano presenti, tra gli altri, l’autore-regista Saulo Scopa, l’assessore alla Cultura della Regione Umbria Silvano Rometti e il vicesindaco di Città di Castello Luciano Bacchetta. Il lavoro, che privilegia il momento del colloquio a quello dell’intervista, oltre che “toccare” un tema di stringente attualità culturale e politica, è stato realizzato in occasione della “Festa dei Popoli 2009” ed è “un ulteriore tassello - ha sottolineato l’assessore regionale Rometti - nella costruzione di legami sempre più forti e integrati tra culture differenti. La Regione, in questo settore, con il passaggio dalla prima alla seconda generazione di immigrati, sta sviluppando politiche a tutto campo. Indietro non si torna. L’Italia sarà sempre di più anche casa loro”. I figli degli immigrati, prosegue Rometti “sono distanti da una cultura (quella dei genitori) che sembra non sia loro, inevitabilmente poliglotti, con occhi proiettati verso un futuro che riflette i sogni dei loro coetanei italiani (fare il calciatore, viaggiare), con lo sguardo che diversamente dai loro padri e dalle loro madri non è rivolto all’indietro”. “In casa sono Brahim, fuori sono Abramo ma io resto sempre me stesso” afferma il ventenne marocchino che ha vissuto gran parte della propria vita in Italia, mentre il piccolo nigeriano dimostra di aver “acquisito” anche i pregiudizi del suo nuovo Paese, quando, spiega alla madre, di non voler tornare in Africa “perché ci sono i coccodrilli e manca la luce”. L’ultima immagine è per la bambina ecuadoregna che guarda fuori dal finestrino del treno: uno sguardo intriso di nostalgia e speranza, attraverso paesaggi (s)conosciuti verso un futuro o, forse, verso un ritorno al passato. Secondo l’assessore di Città di Castello Luciano Bacchetta, “l’opera, di grande spessore umano e culturale, è un’occasione preziosa perché saprà dare segnali di buona convivenza tra popoli ed etnie, proprio come è avvenuto in Alto Tevere, dove la cittadinanza è molto eterogenea”. “Alla base del documentario - ha commentato il critico Bruno Mohrovich - c’è la ricerca di un’identità e di un territorio, anche dell’anima. Sono storie molto amare, fatte di difficoltà di inserimento, di ostacoli per trovare un lavoro e per parlare la nostra lingua. Storie di famiglie in grado di dare una lettura attenta e precisa di quello che, noi italiani, siamo oggi”. Per il regista Saulo Scopa e don Paolino Trani della Caritas, dietro realtà come queste ci sono “persone vive, che vogliono allargare i propri orizzonti. È un’Italia che andrebbe fatta conoscere anche nelle scuole”. Condividi