Giovanni Russo Spena (da Liberazione del 29 novembre 2009)
Siamo con Libera, come sempre: è gravissimo il disegno di legge del governo di vendere i beni confiscati alle mafie perché significa restituirli alle mafie stesse, di fatto perché esse sono le uniche a possedere liquidità finanziaria per acquistarli. La terra, la villa, i beni sono fondamento simbolico del potere mafioso e leva della soggezione, anche psicologica, nei confronti del loro comando territoriale.
Il governo stravolge principi e leggi fondamentali: la confisca dei beni illecitamente accumulati e, insieme, l'utilizzo sociale di tali beni. Si tenta, da parte del governo, di abbattere l'antimafia sociale, che individua nel contrasto alle ricchezze, ai profitti, ai beni, la centralità. Le ragazze e i ragazzi delle cooperative agricole che coltivano, tra sabotaggi e boicottaggi, le terre confiscate ai mafiosi sono il simbolo di un riscatto sociale fondato su cooperazione, autogestione, percorsi di legalità. I mafiosi temono ciò più di ogni strumento repressivo, perché colpisce, insieme, ricchezze illecitamente accumulate, ma anche consenso. Solo i mafiosi, attraverso prestanome, possono riacquistare i beni "espropriati" essendo in condizione di allocare una enorme liquidità finanziaria.
Non dimentichiamo che le mafie stanno agendo da cassaforte sotterranea anche per banche invischiate nei titoli tossici; e rilevano la proprietà di aziende in difficoltà per assenza di liquidità. La crisi economica rende le mafie più forti: favorisce un colossale riciclaggio, l'intreccio fra economia legale e illegale. Occorre costruire, anche su questo punto, un programma alternativo unitario rispetto a quello del governo. Occorre socializzare il tema all'opinione pubblica, mettendo in moto anche gli enti locali, sviluppando l'analisi oggettiva dei beni confiscati provincia per provincia. Verificando rapidamente le possibilità di riutilizzo; stimolando un coinvolgimento completo delle istituzioni.
E ' importante, soprattutto, organizzare il tessuto associativo, evocando e incentivando la produttività sociale esistente sul territorio. La destinazione dei beni confiscati è favorita da un ambito territoriale che si rianima dentro una logica di sviluppo autocentrato, fondato su una filiera corta che va dalla produzione al consumo. Penso ai "gruppi di acquisto solidali"; penso, anche, come iniziativa pilota, alla "fattoria didattica" sul terreno appartenuto al boss Zazza a Castevolturno. Qui verrà confezionata mozzarella di bufala dop che sarà dedicata alla memoria di don Peppino Diana.
Ritiri, allora, il governo il suo tremendo emendamento. Promuova, invece, finalmente, l'agenzia nazionale dei beni confiscati; e vari il testo unico in materia di beni confiscati, coordinando leggi (narcotraffico, usura, riciclaggio, corruzione) che già in parte calpestano il principio fissato dalla legge del '96, voluta innanzitutto da Pio La Torre, che pagò con la propria vita l'impegno per sottrarre ai clan le ricchezze illegalmente accumulate. Un milione di persone firmarono la petizione che chiedeva al parlamento di approvare la legge per l'uso sociale dei beni confiscati alle mafie. Oggi quell'impegno viene tradito. La mafia, lo sappiamo, comprende bene i messaggi e i simboli. La borghesia mafiosa sta ricevendo altri segnali importanti e gravi dal governo: il non scioglimento del consiglio comunale di Fondi per infiltrazione mafiosa, lo scudo fiscale, la proposta di legge sulle intercettazioni, il provocatorio gesto del sindaco di Ponteranica della rimozione del nome stesso di Peppino Impastato. La misura è colma.
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