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PERUGIA - Nei programmi governativi non esistono efficaci politiche di genere, né misure di politiche attive per il lavoro volte a incentivare l’occupabilità e l’imprenditorialità femminile nel nostro Paese e in Umbria, al fine di avvicinarsi all’obiettivo europeo che il Consiglio di Lisbona si è posto, nel 2000, del 60 per cento di occupabilità femminile entro il 2010”: a sostenerlo sono gli assessori alle Pari Opportunità del Comune di Perugia e della Provincia di Perugia, rispettivamente Lorena Pesaresi e Ornella Bellini. “I dati – affermano Pesaresi e Bellini – non sono certamente confortanti: l’Italia, nell’Europa a 27, occupa un indecoroso ventiseiesimo posto quanto a tasso di occupazione femminile, seguita solo da Malta, con retribuzioni più scarse rispetto agli uomini (meno 30%) e dimissioni, più o meno volontarie, alla nascita del primo figlio, contratti precari e tempi di stabilizzazione doppi rispetto ai colleghi maschi. Altri paesi come Grecia, Spagna, Portogallo, che all’epoca del Consiglio di Lisbona, circa dieci anni fa, erano indietro rispetto a noi, ci hanno superato. Non riscontriamo poi la messa in campo di una adeguata e moderna politica di conciliazione dei tempi di vita con quelli di lavoro, presupposto fondamentale in considerazione del fatto non opinabile che la divisione di genere del lavoro familiare è, nel nostro paese, ancora fortemente asimmetrica (il 77,7% del tempo che in Italia viene dedicato alla famiglia è tempo delle donne). Assistiamo invece, nonostante l’Italia sia tra i Paesi europei con la legislazione più avanzata in materia di pari opportunità, a una continua ed estenuante messa in campo di provvedimenti e azioni che vanno tutti in senso contrario. Il mondo della scuola ne è un esempio lampante: si è provveduto a un taglio, sia delle ore di lezione (aumentando così il disagio conciliativo) e sia dei posti di lavoro (in maggioranza femminili)". E ancora, a fronte di una domanda sempre crescente da parte delle donne di mettersi in proprio, di sviluppare un loro progetto di vita e di lavoro, si assiste all’annullamento pressoché totale dell’attuazione della legge 215/92 Azioni positive per l’imprenditoria femminile, non si migliorano i servizi e non si aumenta il sostegno al credito. Più volte abbiamo evidenziato, insieme a Sviluppumbria e ad altre istituzioni e associazioni, le criticità di quella legge, dei suoi regolamenti attuativi e dei relativi bandi. Abbiamo denunciato il lento funzionamento, la complessità dell’accesso, le scarse risorse destinate, le difficoltà di gestione tecnico-amministrativa operate dalla competente Regione Umbria. Non solo. L’ultimo bando risale al 2006 poi il nulla, con il risultato che ancora oggi sono comunque le donne per prime a pagare il prezzo più alto, a perdere il posto di lavoro e a subirne le conseguenze specie in tempo di crisi. E, come se ciò non bastasse, assistiamo di fatto anche a un grave depauperamento della Legge 125/91 Azione positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro, uno dei più importanti strumenti di attuazione delle politiche di genere in Italia e per la rimozione delle discriminazioni indirette che di fatto impediscono la realizzazione di pari opportunità uomo-donna nel lavoro e nella società. E’ di questi giorni, infatti, la comunicazione del Ministero del Lavoro-Comitato nazionale di parità e pari opportunità sul lavoro ”Si rende noto che il Programma Obiettivo di cui all'art. 10, c. 1, lett. C del decreto legislativo 198/2006 (ex legge 125/91) per il corrente anno non verrà pubblicato. Si rinvia pertanto alla finanziaria 2010 l’eventuale possibilità di presentare progetti di Azioni Positive”. Stanno di fatto venendo meno quelle azioni di “buone prassi” che per le pubbliche amministrazioni e non solo, hanno costituito, in questi anni, il fondamento delle pari opportunità nei percorsi culturali, formativi e lavorativi per la valorizzazione della differenza di genere nel lavoro e per il superamento degli ostacoli che nelle organizzazioni hanno ancora un diverso impatto rispetto al sesso, creano discriminazioni, sottorappresentazione del genere femminile nei settori professionali, anche in quelli più innovativi, ancora tradizionalmente maschili e uno scarso equilibrio tra responsabilità familiari e professionali per le donne. Un esempio concreto: il progetto L.IN.F.A Laboratorio d’Innovazione Femminile Aziendale, finanziato con la legge 125/91 e finalizzato al consolidamento delle imprenditrici umbre, in corso di realizzazione, rischia di essere l’ultimo segnale significativo. "Ci rivolgiamo a tutti i parlamentari dell’Umbria, di qualsiasi schieramento, all’ANCI e all’UPI - fanno quindi appello Pesaresi e Bellini -, affinché si metta fine a questo inaccettabile percorso distruttivo e si cambi direzione a partire dalla legge finanziaria 2010 che di certo non aiuta ma penalizza ulteriormente i bilanci degli enti locali e l’azione politica in materia di pari opportunità. Per rendere più competitivo, più capace di crescita economica, più innovativo il nostro Paese, è necessario valorizzare le capacità, le professionalità, le intelligenze, i talenti anche delle donne. Un Paese in cui il tasso d’occupazione femminile è tra i più bassi d’Europa e, anche se le generazioni più giovani corrono come frecce in termini di capacità, formazione, esiti scolastici e universitari, lettura di libri, siamo ancora un Paese che non sa guardare al futuro”. Condividi