Grazia lavora presso l’Istituto professionale Casagrande di Terni. Alle spalle l’Istituto d’arte, 10 anni in uno studio di architetti, soldi e prospettive poche. Poi un caso, un manifesto letto per strada che segnala la possibilità di nuovi posti per personale non docente. Agguanta l’occasione e ottiene il posto. Contratto a tempo indeterminato, e oggi gestisce la segreteria dell’Istituto. “Sono una delle ultime fortunate”, dice, e il suo sguardo si allunga su una immaginaria fila interminabile di precari e disoccupati in graduatoria. A Grazia piace il suo lavoro, e ne parla con competenza. Da quel che dice si percepisce immediatamente il sorprendente divario tra le nuove norme della riforma e le dinamiche reali del lavoro nella scuola. Una per tutte, è che “qualsiasi documento, graduatoria, materiale ora deve essere online”, un’indicazione che non considera che “le scuole lavorano dalle 8 alle 14”, per esempio, e che “quando tutte le scuole d’Italia si mettono in rete per regolarizzare il lavoro così come richiesto, il computer ovviamente si blocca”. E allora? E allora “straordinari, non pagati naturalmente, perché da noi esiste il recupero”. Anche se loro sono dipendenti della pubblica amministrazione come tutti gli altri, con gli stessi orari e lo stesso, unico, mese di ferie. “E poi si parla di competenze, di professionalità… ma noi ci dobbiamo occupare di tantissime cose diverse, aggravate dal peggioramento della burocrazia, e così ci si ritrova a fare un po’ di tutto, improvvisandosi con una dose massiccia di buona volontà, tanto perché siamo ‘fanulloni’, ma alla fine sai di tutto un po’ senza sapere bene niente”. Questa legge ha stravolto l’autonomia didattica, imposto dall’alto regole che non fanno che aggravare le condizioni già gravi della scuola, inficiando progettualità e continuità didattica, “e anche tutto il personale che cambia continuamente, vuol dire ricominciare da capo ogni volta. Puoi dare continuità a una scuola in questo modo?”. Il blocco delle assunzioni e la mancanza cronica di fondi sono come una pietra al collo per la scuola. E dopo il danno, la beffa. Quella di graduatorie che assomigliano più a liste di proscrizione. “Sai quanta gente è iscritta e continua a farlo, eppure non ha mai ancora lavorato né, visto il giro di vite, lavorerà mai?”. Che senso ha, si chiede Grazia, non è forse un modo di illudere la gente? Domanda realista, che però non fa i conti, insieme ai tagli del ministero, con l’effettivo bisogno di personale docente e non docente. La pressione dei tanti in graduatoria potrebbe essere la valanga che rompe la diga. Sempre che sia ‘coordinata’, organizzata. Lo chiedo ad Alessandra, 28 anni, professoressa di lettere e storia. Insegna da un anno, dopo due di tirocinio, con una supplenza nello stesso Istituto Casagrande di Terni e un’altra ad Orvieto. Funziona, la rete del coordinamento precari della scuola o prevalgono età ed esigenze individuali diverse?, “prima di tutto io direi che il dramma sono gli spostamenti continui di sede, che rendono quasi impossibile, se aggiungi i problemi della vita quotidiana, mantenere rapporti”. Mantenere rapporti. Una chiave di volta per impedire il massacro epocale di sapere e lavoro che questo governo sta mettendo in atto. E non a caso la frantumazione del lavoro si sta rivelando una vera e propria strategia in tutti i settori disintegrando, lì dove è già arrivata, qualsiasi possibilità di coesione e quindi di reazione organizzata. Ma è davvero il lavoro fisso il minimo comune denominatore della vostra lotta, o non piuttosto l’autonomia della scuola, che consente anche la lotta per il lavoro individuando le carenze e le necessità su tutto il territorio, e unisce le forze di chi a scuola c’è già, di chi vorrebbe entrarci, insieme a genitori e studenti? “Certo questo è un punto di fondo, perché questa è una riforma classista, che determinerà una frattura gravissima, alla quale si aggiungerà il colpo letale del federalismo, con la creazione di veri e propri ghetti”. “Mettici poi che ogni anno cambiano i professori, e non si riesce a dare continuità né ai programmi né al rapporto con gli studenti, che è ciò che consente lo stimolo, il coinvolgimento, l’interesse, l’impegno da parte loro. Mettici il taglio delle ore! Sai che nei professionali sono state tagliate le ore di geografia e storia, e sostituite con 3 ore di ‘geostoria’?”. Geostoria. Non si può neanche sentire. “Ora per fortuna dall’incontro con i genitori democratici abbiamo avviato il monitoraggio nelle scuole”. “Ma non è semplice – continua Alessandra – perché c’è sempre la percezione dello ‘Statale’, il privilegiato”. “Ma io guadagno 760 € per 18 ore settimanali, più nove di viaggio quando vado a Orvieto. E’ che faccio un lavoro che mi appassiona, un terreno dove è ancora possibile sviluppare libertà di scelta e senso critico, ecco il privilegio. Faccio un lavoro che ‘mi riempie e mi svuota’”. Una sintesi eccellente per definire ciò che ci prende e ci appassiona davvero. Ma “la gente giustifica la carriera, non chi fa servizio vero”. E anche questo fa parte di una cultura da ricostruire, di una tendenza da invertire: credere nell’apparenza e ignorare quello che ‘non si vede’. Proprio lì dove c’è lavoro vero. “Io spero che questo lavoro comune con studenti e genitori dia i suoi frutti, e l’altro aspetto che può rivelarsi importante è il coinvolgimento delle Regioni con il decreto salva-precari”. E oggi? Oggi è un tassello, una giornata di resistenza. Di quelle che ‘mantengono i rapporti’. Per ricostruire cultura, “manca ancora la politica”. Condividi