Responsabile Politiche Sociali Federazione Prc Terni
Bassi salari, precariato, poco rispetto dei diritti dei lavoratori, lavoro sommerso, gap fra nord e sud del Paese, poche risorse, scarsa attenzione da parte sia del Governo, sia delle Regioni, sia degli Enti Locali; queste sono le caratteristiche del lavoro sociale in Italia che nonostante tutto continua a essere vitalissimo e d’importanza fondamentale per la tenuta complessiva del nostro welfare.
Il nostro paese, in Europa, è fra gli ultimi a investire nei lavori sociali. L’indagine sociale “Voci e volti del Welfare invisibile” promossa in tutta Italia nella primavera del 2009 da Cnca (coordinamento nazionale comunità d’accoglienza), Libera, Fish e Rifondazione Comunista, è sicuramente servita per fare il punto della situazione sui servizi sociali territoriali del nostro Paese.
Il quadro che ne esce è sconfortante per quanto riguarda gli impegni delle Autonomie Locali sia in termini d’investimento sia di meccanismi di mainstreaming.
Il rischio è quello che sia messo in crisi uno dei settori del mercato del lavoro che in questi anni ha visto una continua espansione offrendo opportunità occupazionali vere a giovani professionisti e operatori qualificati che, anche “vocazionalmente”, hanno scelto di lavorare nel sociale.
Gli operatori sociali sono ben consapevoli che il loro lavoro è anche lavoro politico, cioè capace di costruire alleanze con le comunità locali, di considerare i destinatari dei servizi come attori dei propri percorsi, di trasformare le proprie pratiche in proposte di intervento e di politiche, privilegiando il tentativo di tutelare e promuovere diritti anziché di assumersi il ruolo di quelli che mirano a “far bene a qualcuno”.
I principali, e non i soli, punti critici che emergono da questa inchiesta sono: la necessità dell’adeguamento della spesa sociale alla media europea, l’integrazione dei servizi sociali, sanitari e educativi, la definizione dei livelli essenziali di assistenza (LIVEAS) che stabiliscano una serie di prestazioni esigibili dai cittadini, maggiore partecipazione democratica ai processi decisionali, scarsa tutela dei diritti sia degli utenti sia dei lavoratori “sociali”. Il modello di welfare caritatevole e residuale non è più sostenibile in un momento storico in cui i paesi europei più evoluti stanno puntando sul lavoro sociale come luogo di buone prassi e di creazione d’impiego.
Le istituzioni devono valorizzare il grande patrimonio di persone e di saperi provenienti dal lavoro sociale. Dall’indagine emerge in primo luogo la giovane età, il 45% degli individui ha meno di 36 anni, il 43% rientra nella fascia 36-50 anni, circa il 10% ha un’età compresa tra 51-60 anni, poco più del 3% ha più di 60 anni. Tale distribuzione, incrociata con quella relativa all’anzianità professionale e ai ruoli ricoperti, evidenzia una tendenza ad entrare relativamente presto nel comparto lavorativo del sociale e una propensione a investire in essa in termini di stabilità lavorativa e di sviluppo professionale. Il 65% sono donne.
Gli stranieri sono solo il 4% dei lavoratori dei servizi territoriali, mentre la maggior parte di essi finiscono, in realtà, soprattutto nell’assistenza agli anziani scomparendo dal welfare territoriale per entrare in quello familiare, alimentando così il lavoro sommerso, con danno all’anziano, che paga un’assistenza alla quale invece avrebbe diritto gratuito e con un danno per i badanti, che hanno meno diritti tutelati e che spesso hanno professionalità più alte di quelle riconosciute, con uno spreco di risorse umane. Circa la metà svolge questo lavoro a tempo pieno, e di questi il 66% guadagna meno di 1200 € al mese (in Umbria è il 29%), il 23% tra 800-1000 € (in Umbria è il 34%). Il 61% ha un contratto a tempo indeterminato e il restante 39% ha forme contrattuali precarie. Questo dato, però se si scende al Centro Sud, diventa drammatico, con il 53% senza contratto stabile.
Il 49% del campione di lavoratori e lavoratrici intervistati ritiene di essere poco o niente soddisfatto della propria posizione contrattuale. Il 71% degli intervistati mostra una diffusa percezione concernente il non pieno rispetto dei diritti dei lavoratori. La responsabilità del mancato rispetto di tali diritti è attribuita dal 26% alle istituzioni e agli enti locali, alle cooperative e agli altri soggetti gestori dei servizi dal 17%, a entrambi (EELL e coop insieme) dal 41%.
Malgrado l’evidente condizionamento sfavorevole sul terreno salariale e dei diritti, i livelli di motivazione degli operatori e di scelta consapevole del lavoro rimangono molto alti; basti pensare che il 76% delle persone intervistate si reputa soddisfatta dell’organizzazione per cui lavora (dato che paradossalmente scende al 61% se si prendono in considerazione i soli operatori pubblici, dove le garanzie lavorative sono nettamente migliori del terzo settore).
Questa motivazione è spiegabile anche in ragione del fatto che la maggioranza degli operatori hanno scelto questo lavoro e non gli è capitato.
Aumentare la spesa sociale, equivale a garantire diritti non solo agli operatori ma anche agli utenti. Il livello di distruzione, di frantumazione, di esigibilità di alcune prestazioni, irrinunciabili per uno stato democratico è, oramai, ai minimi storici.
L’Italia spende in “Welfare” meno di qualsiasi stato europeo, il che significa indirettamente che il nostro sistema di assistenza si tiene, a stento, in piedi solo grazie all’impegno e alla forte motivazione di chi lavora nel terzo settore. E’ questo che emerge dall’inchiesta sul lavoro sociale condotto nel 2009 “ Voci e volti del welfare invisibile” che ha coinvolto oltre 2500 operatori sociali del terzo settore (85% del campione) e del pubblico, in tutta Italia.
Ricerca che ha interessato tutte le figure professionali: assistenti sociali, educatori professionali, sociologi, psicologi, pedagogisti, assistenti domiciliari, mediatori culturali, operatori impegnati negli interventi di promozione sociale, nell’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati, nei servizi alla persona a carattere domiciliare, semiresidenziale e residenziale.
Si ringraziano tutti gli operatori del sociale che con il loro contributo hanno reso possibile tale inchiesta.
Recent comments
11 years 40 weeks ago
11 years 40 weeks ago
11 years 41 weeks ago
11 years 42 weeks ago