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Nel nostro paese vi sono evidenti segnali di un risveglio dell’opposizione sociale alle politiche del governo delle destre e delle classi dominanti, dopo la dura sconfitta elettorale e la profonda crisi nella quale è entrata la sinistra. I movimenti non si sono spenti. Molti di essi hanno ritrovato vivacità. Dalla fine dell’estate in poi non vi è stato un fine settimana che non sia stato caratterizzato da un grande appuntamento, dalla manifestazione per la libertà di stampa a quella contro il razzismo, passando per quelle contro l’omofobia e il precariato nella scuola. Senza contare i tanti momenti di lotta e di conflitto locali. Anche il movimento sindacale non è inerte, malgrado la profonda divisione che lo attraversa. Eppure dobbiamo riconoscere che il tema del lavoro non appare essere il centro motore, la leva moltiplicatrice di questa rinascente opposizione. Il cono di luce che si è acceso questa estate sulla vicenda Innse, grazie alla tenacia e alla vittoria degli operai, si è già spento. Non si può certo dire che il dibattito congressuale del più grande sindacato italiano, la Cgil, stia muovendo i suoi primi passi con la dovuta attenzione da parte dei mass-media e del dibattito politico. Siamo convinti che tutto questo non deriva da una perdita del ruolo del lavoro nella società contemporanea, quanto dalla perdita della sua percezione da parte del mondo politico e di gran parte della sinistra. Uno degli effetti più rilevanti del processo di globalizzazione è invece l’enorme aumento del numero dei lavoratori dipendenti su scala mondiale. Naturalmente, e ciò è particolarmente vero nelle società e nelle economie più sviluppate, il lavoro è cambiato. Il suo contenuto immateriale è cresciuto di importanza rispetto a quello materiale se ci confrontiamo con il periodo d’oro del fordismo-taylorismo. E’ enormemente aumentata la zona grigia che sta tra il lavoro e la disoccupazione, cioè l’area del precariato che pone problemi e bisogni inediti. Ma, pur sapendo che queste novità devono essere terreno di analisi ben più approfondite, il conflitto fra capitale e lavoro si è esteso su scala globale, assumendo molteplici e innovative forme, non il contrario. Lo dimostra anche l’attuale crisi economico-finanziaria mondiale. Essa è ingigantita dalla dimensione enorme che ha assunto la finanza nel moderno capitalismo, ma le sue cause più autentiche affondano nell’economia reale, nel regime dei bassi salari, della precarizzazione del rapporto di lavoro, nella privatizzazione degli istituti dello stato sociale che hanno caratterizzato la stagione neoliberista del capitalismo contemporaneo. Se non cambiano le attuali politiche economiche dominanti, quando la crisi passerà, lascerà dietro di sé uno spaventoso aumento della disoccupazione e una nuova ondata di poveri, come già ci dicono le cifre fornite dall’Onu. Si può uscire dalla crisi evitando un nuovo massacro sociale e un arretramento generale della capacità produttiva, solo cambiando il modello di sviluppo, orientandolo verso la produzione di beni fruibili collettivamente e difendendo l’ambiente. Ma questo non si può fare senza valorizzare in tutti i sensi il lavoro umano, quello che produce beni materiali e immateriali, quello manuale e quello intellettuale, quello dipendente e quello realmente autonomo, quello privato e quello pubblico. Rappresentare politicamente il lavoro vuole dire esattamente questo. Noi, che apparteniamo a forze politiche e ad aree culturali che si collocano, per ideali e programmi, nel campo della sinistra, sentiamo il dovere e il bisogno di tornare a ragionare sul lavoro. Non pensiamo di poterlo fare da soli, ma sappiamo che questo compito spetta in primo luogo a chi ritiene che bisogna ridare significato e forza alla sinistra. Per questo vogliamo unire i nostri sforzi e delle organizzazioni di cui facciamo parte in un lavoro costante di ricerca e di azione sul tema del lavoro e dei lavori, su quello dell’innalzamento delle retribuzioni, sulla riforma fiscale in favore del lavoro dipendente, sulla ricomposizione del mondo del lavoro contro la precarietà, sulla introduzione di un sistema universalistico di sostegno al reddito per chi il lavoro non ce l’ha, sulla democratizzazione della rappresentanza sindacale, sul diritto dei lavoratori di votare sugli accordi, sulla democrazia economica, sui nuovi confini e rapporti fra leggi e contratti. Vogliamo farlo in un’ottica almeno europea e non solo nazionale. Per queste ragioni vogliamo dare vita a un “Tavolo per il lavoro”, per promuovere ricerche, dibattiti, iniziative, mobilitazioni, aperto a tutti coloro che condividono questa esigenza. Piergiovanni Alleva Titti di Salvo Piero di Siena Roberta Fantozzi Orazio Licandro Luciano Gallino Francesco Garibaldo Alfonso Gianni Alfiero Grandi Giorgio Mele Roberto Musacchio Pasqualina Napoletano GianPaolo Patta Gianni Pagliarini Augusto Rocchi Cesare Salvi Mario Tronti Condividi