Nelle regioni dell’Italia Mediana (Emilia Romagna, Toscana, Marche e Umbria), escluso il Lazio, nei primi sei mesi del 2009 le assunzioni sono crollate del 21%. E i dati mancanti del Lazio, molto probabilmente, andrebbero ad aggravare questo dato preoccupante, viste le crisi produttive che si susseguono a ritmo incalzante a Roma e nell’intera regione.
La drastica flessione delle assunzioni è la naturale conseguenza del drammatico calo degli ordini e del fatturato del sistema industriale e produttivo dell’Italia mediana nel suo complesso. Fonti accreditate indicano nel 21,4% la crescita delle persone in cerca di occupazione nei primi sei mesi dell’anno. Nello specifico sono aumentate le persone in cerca di lavoro del 38,7% per cento nelle Marche, del 36,8 in Umbria, del 29,4 in Emilia Romagna e del 5,7 in Toscana.
Nell’Italia Mediana, fino a settembre, sono stimabili circa centomila lavoratori in cassa integrazione, contro i 13.922 del settembre 2008, cioè con un aumento di circa l’86%.
Il tasso di disoccupazione è salito del 1,2%, arrivando al 5,7%, nelle quattro regioni considerate: 0,3% in Toscana, 1% in Emilia Romagna, 1,7% nelle Marche e in Umbria.
I lavoratori precari al settembre 2009 nell’Italia mediana (escluso il Lazio), cioè lavoratori dipendenti a termine, collaboratori coordinati e continuativi, prestatori d’opera occasionali e disoccupati (non solo dipendenti), da meno di un anno, sono arrivati alla ragguardevole cifra di 605 mila, il 13% circa degli occupati totali (243.631 in Emilia Romagna, 205.848 in Toscana, 67.672 in Umbria, 87.857 nelle Marche).
Questi sono i numeri, altro che crisi superata, anzi. Purtroppo, in tanti ritengono che gli effetti della crisi economica sul sistema produttivo e sui livelli occupazionali si faranno sentire in Umbria per tutto il 2010, con esiti sociali facilmente immaginabili. È evidente che né il governo Berlusconi, né le opposizioni parlamentari sono in grado di prospettare nuove politiche industriali e di indicare un percorso per una uscita dalla crisi che rilanci l’economia del paese.
Rifondazione comunista, invece, rilancia la propria iniziativa politica e si fa carico di avanzare delle proposte che perseguano gli obiettivi di: bloccar ei licenziamenti per i prossimi 36 mesi attraverso l’intervento sulla legge che disciplina la riduzione di personale; riformare radicalmente l’indennità di disoccupazione e istituire il reddito sociale; contrastare la precarizzazione del lavoro superando la distinzione fittizia tra lavoro subordinato e parasubordinato, introducendo limiti all’utilizzo dei contratti a tempo determinato, introducendo un salario orario minimo da definire con riferimento ai minimi contrattuali per i lavoratori non coperti da contratto; costruire un nuovo intervento pubblico per la riconversione ecologica dell’economia sul terreno del credito, della ricerca e sviluppo, delle politiche industriali e per la creazione diretta di nuovi posti di lavoro nel campo delle energie rinnovabili, dell’efficienza energetica e della riqualificazione del patrimonio edilizio, della mobilità sostenibile, della riduzione e del riciclo dei rifiuti, della rete idrica, della messa in sicurezza del territorio; rilanciare la lotta per la giustizia fiscale, attraverso il contrasto all’evasione, l’aumento della tassazione sulle rendite finanziarie, l’istituzione di una imposta patrimoniale, il ripristino della progressività del prelievo per le società di capitali, l’armonizzazione a livello europeo della tassazione ambientale, per diminuire la pressione fiscale sul lavoro dipendente.
Queste sono alcune proposte su cui chiediamo un confronto alle forze politiche della sinistra, alle forze dell’associazionismo e alle organizzazioni sindacali per verificare la volontà comune di costruire l’unità d’azione sulle cose concrete e cominciare da qui a prospettare una uscita “a sinistra” dalla crisi.
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