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E’ la dignità del salario che rende il lavoro altrettanto degno. Spiegando meglio il concetto: un salario dignitoso rende altrettanto dignitoso chi lo riceve e di conseguenza il lavoro che glielo procura. Dare la giusta mercede ai lavoratori è uno dei dieci comandamenti che secondo la Bibbia Mosè ricevette sul Monte Sinai, dove per giusta deve intendersi una mercede adeguata al tipo di lavoro svolto. Una giusta mercede, ovviamente intesa come tale sia dal lavoratore che dal datore ha per molto tempo rappresentato l’essenza del patto fra prestatori e datori d’opera, a garanzia e a difesa del quale nacquero le associazioni o le società di lavoratori con le speculari società e associazioni di datori fino ai moderni sindacati. La dignità del salario intesa come dignità del lavoratore e del suo lavoro costituisce quindi un inscindibile insieme che i confronti fra le parti nel corso del tempo hanno da sempre messo al centro delle rivendicazioni e delle rivalse reciproche. In epoca moderna infine questo inscindibile insieme ha costituito il nucleo centrale delle politiche del cosiddetto stato sociale poi declinato anche come welfare in epoca roosveltiana, quando di fronte alla grave crisi degli anni 30 del secolo scorso si decise per un diretto intervento dello Stato a garanzia di un patto che le parti contraenti non riuscivano più ad onorare nelle forme previste. Il riscatto del lavoro per l’affermazione del quale pugnando si morrà, come declamano le ardenti parole dell’ Inno dei lavoratori di Pietro Gori, cantato da tutti gli operai italiani del novecento, anche liricamente inteso, affermava l’innoppugnabile verità che il lavoro giustamente retribuito era anche una occasione di riscatto, cioè di conquista di una dignità altrimenti avvilita. Don Giovanni Bosco, elevato in seguito alla gloria degli altari, raccomandava ai datori di lavoro torinesi nella seconda metà del milleottocento di dare la giusta paga agli operai in modo tale da preservarne la dignità. Chi come me e tanti altri ha letto nell’età scolare quello che a torto viene considerato quasi un libro per ragazzi mentre invece è il primo vero reportage sulla società italiana ai primordi dell’era industriale nel nostro Paese, cioè “Cuore” di Edmondo De Amicis, ricorderà come tutto il libro sia percorso dalla volontà da parte dell’autore di dimostrare al grande pubblico il valore sociale e politico della dignità del lavoro e dei lavoratori, un valore che era necessario affermare e difendere per rendere l’Italia allora da poco diventata nazione un paese moderno. Ora è proprio questa modernità faticosamente conquistata sul piano sociale, ad essere messa in discussione dall’attacco che, complice l’attuale crisi finanziaria, le politiche di Confindustria e Governo Berlusconi stanno portando ai livelli salariali, cioè alla stessa dignità del salario, rischiando di fare dell’Italia un paese meno moderno, proprio perché sempre più viene messo in discussione il livello di dignità delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti pubblici e privati e di quelle nuove forme di lavoro attuate attraverso la legge 30. La sinistra deve quindi riappropriarsi fra i valori da riconquistare alle sue bandiere, della dignità del salario come valore fra i più importanti da difendere oggi, perché da esso discende anche la dignità del lavoro. Quando i lavori che vengono proposti come nuovi ai nostri giovani contengono bassi livelli di dignità salariale, questo dimostra che in Italia siamo in pieno regresso nei confronti di un valore irrinunciabile nel contesto di qualsiasi modello di dialogo sociale, è da qui che può cominciare a morire la democrazia. Condividi