Giuliano GRANOCCHIA, Assessore Formazione e Lavoro, Provincia di Perugia. Ho un paio di appunti, che posso visionare meglio stando seduto. Innanzitutto ringrazio la Commissione del Consiglio regionale per questa audizione. Abbiamo avuto anche altri momenti di confronto, penso alla vicenda dello SFIR; credo che questo sia un metodo importante di partecipazione sia delle istituzioni che delle organizzazioni sindacali, di categoria e delle associazioni anche più vaste dei cittadini. Oggi credo che questo confronto sia particolarmente importante, visto il tema che ci viene proposto, la legge regionale per l’istituzione del reddito sociale, di sostegno al reddito in favore dei disoccupati. Per competenze istituzionali, essendo Assessore al Lavoro e alla Formazione professionale, vorrei portare qualche elemento di valutazione che riguarda sia la situazione del mercato del lavoro umbro, ma anche il panorama a livello nazionale. Da questo punto di vista, c’è da dire che l’Italia vive una profonda anomalia rispetto a quanto è stato costruito in questi decenni in altri Paesi europei, tanto è vero che tra coloro che si occupano di questa materia si indicano l’Italia e la Grecia come un vero e proprio modello mediterraneo di assenza di interventi di sostegno alle persone che hanno perso un’occupazione o che addirittura non sono mai entrate nel circuito occupazionale, mentre tutti gli altri Paesi, seppure con notevoli differenze, hanno situazioni che sembrano veramente essere quasi un sogno per i disoccupati italiani. Basterebbe fare qualche esempio, addirittura in molti Paesi il reddito sociale è più alto di molti salari di molti occupati del nostro Paese. Basta pensare che nel Regno Unito il reddito sociale, l’importo garantito, è di circa 1.834 euro, è di 1.300 euro in Svezia, di 1.859 euro in Germania e così via, molto di più della cassa integrazione e molto di più di tanti lavori poveri che si sono andati a costruire nel nostro Paese. Credo che, da questo punto di vista, non rappresenta nulla di eccezionale la necessità di istituire una forma di sostegno ai giovani e alle famiglie che sono prive di un reddito e di un’occupazione, soprattutto oggi che stiamo vivendo una fase particolarmente drammatica del nostro sistema economico e del mondo del lavoro. Però qui vorrei fare una precisazione, o meglio, condividere una riflessione: non credo che il reddito sociale possa essere inteso come risposta alla precarizzazione del mercato del lavoro, perché diventerebbe una specie di risposta soft a quello che è stato fatto in questi anni. Al di là di quello che è stato fatto in tema di mercato del lavoro, attraverso l’immissione di precarietà, credo che il reddito sociale sia una necessità sociale da istituire in Italia e che la riforma del mercato del lavoro verso una direzione diversa da quella che si è intrapresa in Italia in questi anni sia un’ulteriore necessità, esattamente come quella rappresentata dall’istituzione del reddito sociale. Il rischio è di dire: bene, tu accetti la precarietà, accetti i contratti che abbiamo conosciuto in questi anni e in cambio vediamo di istituire una qualche forma di ammortizzatore sociale di risposta alla precarietà. Noi dobbiamo lavorare, invece, verso un modello del mercato del lavoro e di risposta ai bisogni sociali che sia diverso da quello che si sta imponendo, questo è un elemento che dovremmo portare alla nostra riflessione. Dicevo che questa proposta si inserisce in una fase particolarmente difficile. Ho anche uno studio, che consegno alla Commissione, invece di dilungarmi ed annoiarvi troppo, su quella che è l’attuale situazione in Italia di sostegno alle persone che hanno perso un’occupazione. In queste settimane abbiamo affrontato il tema della cassa integrazione in deroga per tutti quei lavoratori che non rientravano nella cassa integrazione ordinaria. Sappiamo cosa ha significato questa discussione, anche in altre sedi istituzionali ho avuto modo di dirlo, e non solamente istituzionali: in Italia abbiamo fatto un’operazione molto strana, abbiamo tolto le risorse del Fondo Sociale Europeo dedicate ai nostri disoccupati, a chi non aveva un’occupazione, per darli ad altre persone, disgraziate, naturalmente, che cadevano nella condizione della cassa integrazione. Solamente in provincia di Perugia questa operazione ci ha tagliato risorse per le politiche attive del lavoro per circa 23 milioni di euro. Non significa qualcosa in meno, significa non poter più fare nel 2009 e nel 2010, per quanto ci riguarda, la programmazione in tema di politiche attive del lavoro. Quindi, neanche una, seppur sopportabile, riduzione in una fase come questa, ma l’azzeramento delle risorse in tema di politiche attive del lavoro. Questa necessità di intervenire diventa veramente un’esigenza. Considerate che dagli ultimi dati, in Umbria, solo di cassintegrati, ci sono stati circa 6.000 nuovi cassintegrati, dal momento dell’inizio della crisi. Come Centri per l’Impiego della Provincia di Perugia, nel periodo 1° gennaio 2009-30 settembre 2009, abbiamo registrato 6.600 nuove disoccupate iscritte alle liste di disoccupazione e 6.546 uomini, mentre per quanto riguarda gli inoccupati il totale è di circa 3.100 persone; quindi una situazione veramente difficile. Queste sono persone che non hanno neanche una copertura di altro tipo, se non chi ha una disoccupazione lunga e può accedere al sussidio di disoccupazione, ma che è molto limitato nella possibilità di essere applicato. Quindi, che dall’Umbria si riparta per una discussione di questo tipo credo che sia particolarmente importante, come è stato scritto sui giornali, anche di questa mattina, c’è un intervento che si pone una domanda: se non ora, quando pensiamo ad introdurre l’istituzione del reddito sociale? Credo che rischiamo di non dare una risposta assolutamente adeguata alla crisi. Credo che sia ancora più importante partire dai territori per aprire una riflessione di questo tipo, oggi su altri versanti crediamo che sia pressoché impossibile. Se le politiche che sono state portate avanti sono quelle che in parte accennavo precedentemente, voi capite che questo tema è assolutamente fondamentale riproporlo dal governo degli Enti locali, fare uno sforzo e darsi delle priorità in questi termini. E una delle priorità, oggi, non può non essere quella di un modello anche sociale, perché il reddito sociale istituito attraverso una legge regionale significa anche dare una direzione di marcia e un senso sociale, politico, culturale all’azione di governo delle istituzioni umbre, che si inserirebbe in quella grande tradizione innovativa che negli anni passati ha riguardato l’Umbria e che ha fatto dei nostri territori dei luoghi dove i cittadini hanno trovato molte più risposte. Basta pensare al discorso della sanità pubblica, quanta differenza c’è tra il modello di sanità pubblica umbra e altri modelli, e credo che questa sia la strada da seguire, altrimenti rischiamo di essere disarmati in una dimensione nazionale e di essere altrettanto disarmati nella nostra capacità di risposta sul terreno locale. Grazie. Condividi