Riprende l'attività politica con tutti i giocatori in campo e, come al calcio quando la partita è sospesa, il gioco ricomincia con l'arbitro che "scodella" (diceva Nicolò Carosio) la palla tra gli avversari. E tra i primi dribbling su cui muovere i piedi c'è il bipolarismo. Sempre che non sia una palla sgonfia.
Restando nella metafora: il bipolarismo è ancora una palla da giocare? Così formulata la domanda può avere tranquillamente sia una risposta positiva che negativa, nella misura in cui si prescinda dal terreno di gioco.
Così come, uscendo dalla metafora, la domanda se la stagione del bipolarismo sia finita o no appare estremamente astratta. Ragionando alla buona, può finire una cosa che non è cominciata?
In effetti, il bipolarismo formato Pd veltroniano non può essere né difeso né contestato, perché parlarne è come discutere sull'ircocervo del nostro buon Croce, animale (l'ircocervo, non don Benedetto) più fantasioso che fantastico.
In concreto, discutere di bipolarismo presume che si abbiano due poli, sia pure intesi come centri di aggregazione di forze che navigano a vista. In Italia una situazione del genere è da sognarsela. Qualcosa si è fatto a destra, con una forzatura di cui ora si manifestano le crepe; qualcosa doveva essere fatto a sinistra, ma per amor di patria è meglio osservare un minuto di silenzio.
Allora, bipolarismo no?
No, bipolarismo si, perché bipolarismo no vuol dire tornare all'epoca della politica basata sulla non-trasparenza, sulle intermediazioni tra i vertici dei partiti, sugli accordi di caminetto, sul "qui lo dico e qui lo nego". Bipolarismo si, allora, purché per fare il polo riformista non si vada a caccia di alleanze con la reticella dei cacciatori di farfalle.
Errore che i cacciatori di leoni non commetterebbero mai.
Bipolarismo tra chi allora? Non può essere destra contro sinistra: troppo semplice per essere vero. A prescindere dalla difficoltà di stabilire una linea di demarcazione netta e tranciante in un mondo che cambia profondamente tutti i giorni, e avendo a che fare con gruppi sociali di riferimento anch'essi cangianti sotto il naso, la società italiana, per dirla con l'ottimo Eugenio Scalfari, è uno specchio che si è rotto: continua a riflettere una miriade di immagini, ma l'immagine complessiva è illeggibile. In questo gioco di frammenti, destra e sinistra appaiono per lo più come parole storicamente datate: in fin dei conti la sinistra si chiama così perché all'Assemblea nazionale francese i deputati sedevano a sinistra del presidente (e a destra del pubblico, ndr). E la destra di conseguenza.
Oggi, al di là di questa collocazione che esprime poco o punto perché in assemblea un posto libero chi vuole lo si trova sempre (e poi se lo tiene stretto, dovunque sia, ndr), che cosa può rendere leggibili i termini destra-sinistra?
A mio parere li rende leggibili quel lato debole della società italiana che sono i diritti collettivi ossia sociali, sempre più calpestati, e le libertà individuali; confuse con la libertà di fare quello che si vuole, anche (e con più gusto, ndr) quando si calpestano le libertà degli altri, come piace a qualcuno di alto rango. Ho l'impressione che passa qui la vera linea di demarcazione interna alla società italiana che separa i molti che stanno di qua dai pochi. Una sorta di Muro di Berlino che separa due mondi economici, politici, sociali e culturali, senza Vo-Po a sparare su chi lo valica come fino a 20 anni fa. Quelli che stanno di là pur essendo pochi comandano, ma solo perché i primi corrono dietro alle farfalle. La politica di chi sta di qua comincia da questo punto: lasciar perdere le farfalle e adattarsi a vivere con i leoni, rinchiudendo (metaforicamente, per carità) i coccodrilli, o caimani che siano, nei recinti del giardino zoologico.
E' chiaro che se uno vuole adattarsi a vivere con i leoni, deve rispettare le loro usanze (meno una, naturalmente, ndr). Ma i caimani sono molto meno gentiluomini e meritano di essere messi in gabbia (metaforicamente, per carità).
Ho raccontato una favola anonima. Chi sia il caimano non c'è bisogno di fare nomi. Li ha già fatti Nanni Moretti. Quanto ai nomi dei leoni ognuno ci metta quelli che più gli aggradano. L'importante è non morire ingessati nella discussione su quante sono le gambe dell'ircocervo.
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