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di Anna Maria Bruni Non c’è democrazia sostanziale se non c’è democrazia sindacale. Nella piattaforma dello sciopero di oggi gli ultimi due punti sono illuminanti: pari diritti per tutte le organizzazioni dei lavoratori, rappresentanza elettiva democratica nei posti di lavoro e a livello regionale/nazionale, fine del monopolio Cgil, Cisl, Uil sulla rappresentanza e i diritti sindacali, contro la pretesa padronale di scegliere le organizzazioni con cui trattare. Questioni su cui i sindacati di base si battono da sempre e che, all’indomani della firma del contratto metalmeccanici senza la Fiom, assumono la forza della sostanza. “I nodi sono arrivati al pettine”, è il medesimo commento che arriva da Leonardi, Bernocchi e Tommaselli, rispettivamente Rdb-Cub, Cobas e Sdl, promotori dello sciopero di oggi, che peraltro, anche se lucido e determinato è comunque mesto, poiché l’atto è di una “gravità inaudita”, dice Paolo Leonardi, ma grave, incalza Fabrizio Tomaselli, “non è il contratto separato, grave è che si continui a firmare contratti senza preventivo assenso dei lavoratori”. Quel che succede alla Fiom e insieme la firma su una piattaforma non votata sono gli indicatori della sostanziale mancanza di democrazia che i sindacati di base hanno sempre denunciato e che oggi viene allo scoperto. “Finora è stato un problema solo nostro – sottolinea Leonardi – ma ora siamo arrivati a un punto talmente basso del sindacalismo confederale, che diventa evidente che non ci sono più margini neppure lì dentro”. “Quello che è successo è il segno dell’arroganza del padronato e dei sindacati concertativi – continua il coordinatore Rdb-Cub – ma la Cgil quando ha potuto ha firmato, vedi il contratto degli alimentaristi. Quello è il vero volto, l’anomalia sono i meccanici”. “La Fiom ha posto il problema della democrazia nei luoghi di lavoro”, precisa Piero Bernocchi, ma il punto è che “lo deve porre integralmente”. Vent’anni di compatibilità hanno prodotto i danni che ora sono sotto gli occhi di tutti, “dall’89, quando la Cgil fece intervenire il governo e d’Alema bloccò le liste sulla rappresentanza nella scuola a 48 ore dal varo”, ricorda ancora Bernocchi. Oggi la Fiom chiede una legge sulla rappresentanza, ma “nessun governo se n’è mai dovuto preoccupare, né di centrodestra né di centrosinistra, perché i sindacati confederali sono foraggiati da mille forme di accordo e vivono d’intesa”. “Perfino con i governi democristiani avevamo la possibilità di arrivare a liste nazionali, era il lavoratore che sceglieva il sindacato con cui fare assemblea, perché tutti disponevamo di questo diritto, poi dall’89 la normativa è stata stravolta da accordi pattizi”. Sulla base dei quali i lavoratori sono sempre più esautorati dalla possibilità di determinare chi li rappresenta e ancora meno dalla possibilità di esprimersi sugli accordi, e i sindacati di base subiscono pesanti discriminazioni anche lì dove avrebbero i numeri per la rappresentanza. “La stessa Fiom ha accettato che il 33 per cento dei delegati venga attribuito di diritto alle organizzazioni firmatarie di contratto”, precisa Leonardi. Fiom che oggi, pur essendo l’organizzazione maggioritaria nei numeri, viene discriminata. Non è più questione di rapporti di forza, è l’istituzionalizzazione di regole burocratiche che assegnano il potere ad un’oligarchia, neutralizzando il conflitto. E i sindacati confederali fanno parte del gioco, diventando “uno straordinario ammortizzatore sociale del conflitto”, è ancora Leonardi, “affiancato oggi anche dai media, che scendono in piazza per la trasparenza dell’informazione e poi, condizionati dal potere, si rendono complici dell’oscuramento delle lotte”. “Cgil, Cisl, Uil discriminano il sindacalismo di base anche dove non hanno i numeri per farlo, al tavolo arrivano accordi già belli confezionati e non si è mai votato”, precisa il dirigente sindacale. E oggi che è la Fiom a pagarne le conseguenze diventa chiaro che si lascia il manico in mano ai padroni, che scelgono con chi trattare. Con questi pregressi molto ci sarebbe da discutere e da riesaminare per poter definire regole che diano pari diritti e pari possibilità, sono d’accordo i tre dirigenti sindacali, senza contare che “con l’attuale situazione politica – aggiunge Tommaselli – non vorremmo che si vada a un restringimento dei diritti. Quello che sta succedendo già oggi nel pubblico impiego, nei servizi, il restringimento del diritto di sciopero, è solo la premessa per ridurre la rappresentanza anche nel privato”. Elezioni provinciali e nazionali, con pari diritti per tutti di gareggiare, di fare propaganda, usare le bacheche, indire assemblee, avere distacchi e comandi. Diritti minimi comunque garantiti ai lavoratori che ne facciano richiesta. Questo dovrebbe prevedere una legge, e lo stesso vale per il referendum, precisa Bernocchi, “inutile invocarlo se dopo il no dei lavoratori al tavolo ci tornano gli stessi. Deve essere vero, non appannaggio dei sindacati confederali e non solo per gli iscritti”. Del resto anche qui la Fiom potrebbe sfoderare i precedenti, se volesse. Per esempio sul protocollo welfare, la polvere che dopo la lite con la Cgil sparì sotto al tappeto per non arrivare alla resa dei conti. “E’ evidente che per noi non cambia la situazione che avevamo visto e che ci ha fatto indire lo sciopero del 23”, precisa Tommaselli, ma è altrettanto chiaro che “quello che sta accadendo cambia lo scenario generale, e dovrebbe spingere quella parte del sindacalismo confederale a dare una risposta collettiva generale insieme a noi utilizzando lo sciopero del 23”. “Dovrebbe essere anche la giornata – precisa Leonardi - della rivolta dei metalmeccanici al gravissimo attacco ai lavoratori”. Aspettiamo la Fiom alla prova dei fatti, dicono i tre dirigenti, visto che stavolta sono loro a toccare con mano la gravità di quello che sta succedendo, ma devono dire apertamente che il problema della democrazia sindacale è generale, e riguarda tutti. Allora sarà finalmente una battaglia comune. L’unica premessa possibile ad una legge sulla rappresentanza. Condividi