di
Eugenio Pierucci
Quindici metri quadrati in tutto, un “buco” come si suol dire, ma in quel poco spazio sta nascendo una speranza che va coltivata con cura affinché non appassisca. La speranza di poter presto dimostrare che, con tanta pazienza e buona volontà, è possibile costruire anche in un ambiente di vita fortemente
disgregato rapporti di buon vicinato, creare un clima di maggiore integrazione fra persone portatrici di usi e culture diverse che, proprio per queste diversità incontrano forti difficoltà a relazionarsi fra loro.
Ci riferiamo alla sede dell’ACILA (acronimo di Associazione Culturale Italo Latino Americana) inaugurata circa un anno fa a Ferro di Cavallo, all’interno del “serpentone”, un fabbricato lungo e grigio nel quale il Comune, che ne è il proprietario, ha dato accoglienza a molti nuovi cittadini di Perugia, gente proveniente da vari Paesi, ed anche da vari continenti, che si è andata ad aggiungere agli “italiani” originari, dando vita ad una mescolanza che talvolta produce incomprensioni e baruffe.
Anche il locale dove ha sede l’Acila è, naturalmente, di proprietà del Comune, che lo ha concesso a condizione che vi si svolgano attività sociali nell’interesse dell’intera comunità. Vale a dire interamente gratuite, come l’associazione tenta di fare incontrando non poche difficoltà.
A raccontarcele è
Graciela Elena Rosillo, una signora originaria dell’Argentina che da cinque anni si è trasferita a Perugia. E’ lei l’anima dell’associazione che, oltre ad ingegnarsi nell’inventare attività, tiene aperta, esclusivamente di pomeriggio, quella modesta a sede, il che vuol dire ogni volta che ha un momento libero dal lavoro che le dà la possibilità di campare: per andare avanti si arrabatta ad insegnare la sua lingua, lo spagnolo, ed anche la matematica, materie per le quali vanta una lunga esperienza nella sua patria di origine, dove ha fatto l’educatrice in situazioni altrettanto e forse ancora più difficili.
Graciela ci racconta come, timidamente, abbiano cominciato ad affacciarsi nell’aula che è riuscita a mettere su grazie a qualche aiuto (banchi, sedie e lavagna glieli ha forniti la Provincia, ripescandoli fra gli arredi scolastici in disuso custoditi nei suoi magazzini), le prime persone, adulti, che avvertivano la necessità di comunicare meglio con gli “italiani” e le chiedevano di aiutarli a dotarsi dei necessari strumenti linguistici. A mo’ di esempio ci parla di una signora che, pur conversando speditamente in italiano, non è però in grado né di leggere, né di scrivere nella nostra lingua, perché nessuno gliel’ha mai insegnato. Una sorta di veloce alfabetizzazione è, dunque, ciò che le occorre per sentirsi maggiormente a suo agio.
Esclusivamente adulti, perché i bambini, numerosi al “serpentone”, se ne stavano alla larga, preferendo trascorrere il loro tempo libero correndo dietro ad un pallone: del resto loro a scuola ci vanno regolarmente ogni mattina, parlano e scrivono correntemente in italiano ed anche in perugino, e non hanno perciò nessuna difficoltà a comunicare fra di loro. Assai probabilmente consideravano la proposta “didattica” offerta loro come una sorta di “doppione” di quella svolta in classe con le collaudate maestre di sempre.
Questo fino a pochi giorni fa, quando si è prodotta una svolta inattesa, complice un vecchio computer che Graciela ha ricevuto in dono da un’amica che se n’era fatto un altro di ultima generazione. Un dono ben gradito che ha caricato con pochi indispensabili programmi, altrimenti si bloccherebbe a causa della sua scarsa capacità di memoria, e che ha poi collocato in bella vista nell’auletta,
E bastata questa piccola novità per mutare la situazione. Come per una sorta di passa parola i ragazzi del “serpentone” hanno cominciato a frequentare la sede sempre più numerosi (la foto che pubblichiamo ne dà dimostrazione), desiderosi di imparare ad usare quel “giocattolo” che la maggior parte delle loro famiglie non può permettersi di possedere.
Così la nostra eclettica amica, che fra le tante cose che sa fare si diletta anche di grafica computerizzata (non per niente sta lavorando alla costruzione di un sito per l’associazione, assai complesso ed affascinante), si è improvvisata per loro anche insegnante di informatica.
Solo che con un unico computer i ragazzi sono costretti a fare i turni. Quando abbiamo visitato la sede, ieri pomeriggio, era l’ora di Clinton, uno sveglio decenne davvero dotato in materia, che ci ha raccontato di essere della Jugoslavia, ovvero di una nazione che non c’è più. Del resto è comprensibile qualche imprecisione da parte sua in materia, perché lui è nato in Italia e nel Paese dei suoi genitori, la Croazia, non ci ha mai messo piede.
A tutti Graciela trasmette ciò che sa. Insegna loro come si fanno le ricerche, come si organizzano delle pagine con immagini, come si inventano racconti che parlano della loro vita e delle loro aspirazioni, tutte cose che i ragazzi mettono poi in comunione fra loro, costruendo così un modo nuovo per farsi meglio conoscere.
Si tratta di un lavoro lungo perché, appunto, c’è a disposizione un solo computer ed avercene due sarebbe davvero fantastico, figuriamoci poi se ne arrivassero ancora di più. Computer usati, diamine, purché ben funzionanti, di quelli, magari, che in qualche ente sono stati sostituiti con modelli più recenti e che troverebbero così una nuova utilità.
Per la verità qualche mezza promessa in merito Graciela l’ha avuta, ma occorre far presto, prima che i ragazzi, stancati dai turni troppo rarefatti, decidano che è più divertente tornare a correre dietro ad un pallone, prima, cioè, che la
speranza appassisca per davvero.
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