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Dino Greco (Da Liberazione del 21 ottobre 2009) Dopo avere offerto il suo discreto contributo alla più colossale devastazione del mercato del lavoro e del sistema di protezione sociale del nostro Paese, il ministro Tremonti se ne esce ora - pulito pulito - con una stupefacente affermazione. Che suona, letteralmente, così: «La stabilità del lavoro è alla base della stabilità sociale» e «il posto fisso è la base su cui costruire la famiglia». Ma va? Per un quarto di secolo la cultura e il verbo liberisti di cui il governo in carica è scrupoloso interprete, hanno predicato e praticato - col generoso contributo del riformismo nostrano - la demolizione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sostituendovi un ginepraio di rapporti di lavoro saltuari, a termine (oltre 40 fattispecie!), totalmente privi di garanzie, tutele, protezioni giuridiche. Un supermercato delle braccia a disposizione delle imprese che dovevano essere assecondate nella loro più sofisticata e deregolamentata domanda di flessibilità. Sicché il precariato è diventato oggi la forma canonica di assunzione ed i lavoratori - soprattutto, ma non soltanto, giovani - formatisi dentro questo "moderno" sistema di relazioni sociali, hanno visto prosciugarsi ogni loro diritto, a partire da quello di coalizione, che ha come presupposto la possibilità di vincere la paura, il timore paralizzante che la più semplice rivendicazione possa costare il posto di lavoro. Una generazione intera è stata addomesticata a pensare che il lavoro non sia un diritto e che la prestazione d'opera sia un'elargizione generosa del padrone, da fornirsi alla bisogna e in ogni forma possibile, anche la meno dignitosa e la più insicura. L'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, quello che disciplina i licenziamenti individuali, impedendone il ricorso senza giusta causa, è stato oggetto sino a ieri di un assalto furioso. Ora scopriamo che è stato tutto uno sbaglio, una conseguenza della globalizzazione, una degenerazione improvvidamente importata dal modello americano. Ovviamente, sia benvenuta la sia pur tardiva resipiscenza. Ma c'è da chiedersi se il pirotecnico ministro del tesoro e il governo di cui fa parte vogliano porvi rimedio, per esempio abolendo la legge 30 che di quella politica è il più organico distillato legislativo. Ne dubitiamo alquanto. E' lo stesso Tremonti, del resto, a confermare il nostro scetticismo. Nell'esternazione di ieri il ministro ci riserva, infatti, un'altra interessante rivelazione. E cioè che la Costituzione repubblicana «è ancora valida, ma non del tutto applicata». Esattamente laddove essa «regola e disciplina il risparmio, identificando nell'industria del credito una realtà che favorisce l'accesso alla proprietà, all'azionariato popolare...». O hibò, non ci eravamo accorti che fosse questo l'architrave su cui i "padri costituenti" avevano poggiato l'edificio repubblicano. Era parso a noi, anzi, che si trattasse d'altro. Del lavoro, per esempio. Che ne è del lavoro nell'ultima versione del Tremonti-pensiero? Che ne è della dignità del lavoro, della sicurezza del lavoro, che il titolo III della Costituzione pone al centro delle relazioni sociali, in una posizione privilegiata rispetto alla stessa libertà di impresa, ove questa sia esercitata in contrasto con l'utilità sociale e metta a repentaglio la libertà delle persone? E quale ruolo si attribuisce ai lavoratori? Semplicemente quello di partecipare, passivamente, in qualità di azionisti, alle sorti (e soprattutto ai rovesci) dell'impresa presso la quale essi prestano la propria attività? Si è reso conto Tremonti, nella sua neonata scoperta della Carta, che essa prevede persino l'esproprio di attività produttive e la consegna di esse nelle mani dei lavoratori quando l'interesse collettivo, il bene comune, rischino una vulnerazione grave? Noi siamo da tempo convinti, proprio come Tremonti, «che un ritorno alla Costituzione possa portare a concrete e non poche, remote riflessioni». Lo siamo al punto di fare di questa battaglia il fulcro della ricostruzione delle traballanti fondamenta della nostra democrazia. Basta intendersi. P.S. Ora leggiamo che Bonanni e Angeletti hanno reclutato Tremonti nelle proprie file. Peccato che predicando "la flessibilità buona" ne abbiano cogenerato di pessima attraverso la più cedevole e subalterna pratica contrattuale. Più sincero Brunetta, che prendendo sul serio il suo collega, ne respinge risolutamente il giudizio, bollandolo come un retaggio novecentesco. Punto sul vivo replica seccato anche l'immarcescibile Pietro Ichino. E si capisce: lui, che a disfare le tutele del lavoro (nel nome degli "outsider") e a vaticinare ogni possibile deroga contrattuale ha dedicato interi libri e il suo più recente ingaggio nella politica. Condividi