CITTA' DI CASTELLO - Dopo la presentazione del libro di Gianluca Nicoletti e Stefano Moriggi “Perché le macchine ci rendono umani”, i robot e Dioniso sono stati al centro dell’ultima lezione all’Auditorium di Sant’Antonio nell’ambito del Festival della Filosofia della Scienza di Città di Castello.
Giuseppe Longo ha esaminato l’interazione tra uomo e robot, sottolineando che “Nelle visioni più ottimistiche dovrebbero essere i nostri servitori e i nostri compagni ma si rivelano sempre più inquietanti e ci pongono questioni che vanno dagli aspetti più tecnici della loro costruzione fino ai più sottili interrogativi di natura etica. Unione di mente sintetica e di corpo sintetico, il robot rappresenta l’ultima versione del nostro tentativo plurisecolare di costruire l’uomo artificiale. La somiglianza sempre più spinta tra robot e uomo, che si estende alle capacità cognitive, all’autonomia e in prospettiva anche alle emozioni e forse alla coscienza, pone interrogativi inquietanti. La crescente diffusione dei robot in tutti i settori della società ci obbliga a considerare il rapporto di convivenza uomo-macchina in termini inediti, che coinvolgono anche l’etica. Affrontare questi problemi è importante e urgente”.
Per Gabriele La Porta invece “partendo dalla filosofia presocratica e neoplatonica” ha esaminato in che modo oggi “si incontrano Dioniso e Apollo, la filosofia dell’estasi e la scienza.È necessaria una sintesi, tenendo conto che in questo momento la scienza si è arrogata il diritto di rappresentare tutto lo scibile umano, relegando il resto ad un ruolo marginale in quanto alogico. Invece il pensiero non razionale non è solo un’accozzaglia di fantasticherie e per questo va recuperato come indispensabile alla nostra società per evitare i danni che la scienza sta provocando al mondo”.
Coordinato da Pietro Greco, il dibattito si è concluso con l’intervento di Silvano Tagliagambe: “La questione è oggetto di un’acuta analisi da parte di Jacques Monod, il quale mostra quanto sia illusoria la convinzione, che tutti noi abbiamo, di saper distinguere immediatamente e senza ambiguità, tra vari oggetti, quelli naturali e quelli artificiali. Vari laboratori in giro per il mondo hanno già iniziato a sperimentare l’uso di reti neurali animali
vere per creare computer organici. Uno dei pionieri di questo nuovo filone della ricerca è William L. Ditto, il quale è stato in grado – seppur in via ancora del tutto sperimentale – di combinare i normali circuiti di silicio con neuroni di sanguisuga, cioè con cellule nervose viventi (e qualcosa di simile hanno fatto anche i ricercatori dei Bell Laboratories, che sono riusciti a integrare neuroni di ratto in un supporto digitale). Ditto e i suoi colleghi sono partiti dall’idea che un elaboratore
biologico, in grado cioè di sfruttare reti neurali organiche, dovrebbe essere in grado di fornire risposte corrette anche qualora dovesse basarsi su informazioni parziali (cosa che invece non avviene nei computer attuali, che hanno bisogno di programmazione e immissione di dati precisi per fornire qualsiasi tipo di risposta). I neuroni di sanguisuga utilizzati negli esperimenti hanno dimostrato proprio questa superiore funzionalità: facendo rimbalzare i dati fra loro sono in grado di eseguire attività, come dice Ditto, “simili al pensiero” e di trovare da sé nuove soluzioni”.
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