Il sistema del lavoro negli ultimi decenni ha subito profonde modificazioni e trasformazioni, che ne hanno cambiato radicalmente caratteristiche ed aspetto.
Il lavoro a tempo pieno e per tutta la vita è stato fortemente messo in discussione da una radicale trasformazione delle forme della produzione e di
regolazione dei rapporti fra impresa e lavoro, dalla decentralizzazione della produzione e dalla flessibilità della prestazione.
Il lavoro fisso, quello che nei decenni precedenti accompagnava il lavoratore nel suo percorso di vita immediatamente dopo il diploma o l'obbligo scolastico fino alla pensione, è oggi sempre meno una possibilità reale, anzi la condizione più diffusa è quella dell'incertezza e della precari età del lavoro e della vita. È questo il risvolto negativo del nuovo sistema del lavoro basato sulla flessibilità.
Forme di lavoro a termine, stagionale o d'inserimento non sono una novità nel mercato del lavoro. Sono sempre esistite, ma in precedenza erano generalmente forme di lavoro circostanziate nel tempo e relative ad alcuni
settori di produzione e, più in generale, si presentavano come fase transitoria della vita lavorativa, una sorta di periodo di "apprendistato" circoscritto nel tempo prima di entrare nel mondo del lavoro a tempo indeterminato. Oggi, invece, la temporaneità della prestazione è stata esportata da settori specifici a tutta la produzione industriale e di servizi. La flessibilità si è imposta come modello di riferimento generale per tutto il mondo del lavoro e, con essa, la precarietà, per anni circoscritta ad alcune aree della produzione, si è progressivamente generalizzata, coinvolgendo vasti segmenti produttivi e strati sempre più larghi di lavoratori.
Secondo ricerche condotte dal CNEL e dall'lsfol nel periodo 1991/1997 la probabilità di un giovane di trovare lavoro a tempo indeterminato era attorno al 40 per cento, tra il 1998/2003 è scesa al 25%.
Il lavoratore flessibile, ha visto aumentare 'incertezza per il futuro, vivendo una condizione di precarietà di vita perché si è trovato privo di qualsiasi protezione
sociale, visto che nell'introdurre la flessibilità del lavoro e la liberalizzazione del rapporto tra impresa e lavoratori non vi è stato un analogo adeguamento del
sistema di tutele e garanzie che sono rimaste centrate sul vecchio modello di rapporto di lavoro a tempo indeterminato. La liberalizzazione dei contratti ha
finito per trasformarsi in una vera e propria deregolamentazione dei rapporti di lavoro tra lavoratori ed impresa. Il ricorso senza limiti a contratti di lavoro a tempo determinato,l'introduzione del lavoro interinaie e a chiamata, i contratti di somministrazione d'opera e lo staff leasing, assieme alle tante altre forme di flessibilità frammentano oggettivamente e soggettivamente il mondo del lavoro, spezzano ogni legame tra lavoratori e tra lavoratori ed impresa. Il lavoro flessibile assume sempre più le caratteristiche di un lavoro individualizzato, dove il lavoratore è solo nel suo rapporto con l'impresa e con un sistema di tutele e garanzie sempre più ristretto.
Il lavoratore flessibile non solo si trova in una condizione di minori tutele e garanzie ma la precarietà del rapporto di lavoro, il continuo passaggio da periodi di occupazione a periodi di disoccupazione, lo porta ad essere un soggetto fortemente esposto al rischio povertà. Assai preoccupanti sono, da questo punto di vista, i dati Eurostat che segnalano il rischio povertà come fenomeno in forte crescita. Nell'Unione Europea sono 72 milioni le persone a rischio povertà, di cui 11 milioni, e cioè il 15%, si trovano in Italia.
Nel corso degli ultimi anni il mercato del lavoro regionale è stato caratterizzato da un andamento positivo dell'occupazione che nel 2006 ha raggiunto le
335.000 unità, portandosi a 367.000 nel 2007 e raggiungendo nel 2008 (ultimi dati Istat disponibili) e quando già le avvisaglie della crisi si facevano
pesantemente sentire le 376.000 unità. Questa continua crescita dell'occupazione nel 2008, in particolare nel quarto trimestre 2008, laddove in un Umbria si registra un incremento dell'O,7% a fronte di una riduzione
nazionale dell'0,2%, il tutto nonostante l'incredibile frenata del PIL, rappresenta sicuramente un fatto positivo ma non può certo indurre illusioni sulla
pesantezza della crisi e sulle ripercussioni sui livelli occupazionali. Infatti è noto che durante qualsiasi recessione il calo dell'occupazione tende sempre a tardare rispetto alla decrescita del PIL. Così come, in fase di ripresa economica, assai più lentamente avanza il processo di ricostruzione dei posti di lavoro
distrutti. Va poi tenuto conto che i lavoratori in Cassa Integrazione sono, nelle statistiche ufficiali, considerati tra gli occupati.
Né questa tenuta occupazionale deve indurre a pensare che il nostro mercato del lavoro e, sopratutto, il nostro sistema di ammortizzatori sociali sono perfetti,
al contrario siamo in presenza di un sistema, sostanzialmente centrato sulla Cassa Integrazione, che riguarda una quota molto bassa del totale degli occupati e dal quale risultano esclusi i lavoratori delle piccole imprese e della maggior parte delle aziende di servizi.
Basti ricordare che l'Italia per la voce disoccupazione spende lo 0,4%, mentre in Germania si spende il 3% e in media nella Unione Europea la percentuale è del 2,2%.
Ancora peggiore si presenta la situazione per i giovani fino a 25 anni, che in Italia solo in misura dell'0,65%
sono interessati da misure di sostegno al reddito, rispetto al 575 dell'Inghilterra, il 53% della Danimarca, il 51% del Belgio.
Sempre sul versante occupazionale va segnalata la tenuta dei lavoratori precari, ma la gran parte di questi lavoratori è titolare di contratti in scadenza a dicembre 2008. Sempre in relazione al 2008 non va dimenticato che nel corso del quarto trimestre, per la prima volta negli ultimi dieci anni si è registrato un
aumento del tasso di disoccupazione, anche se di pochi decimali (dal 6,7% al 6,9% a livello nazionale e dal 4,8 al 5,5% in Umbria).
AI tempo stesso, il prodursi della crisi non aiuterà certo, anzi acuirà quelli che sono i i nodi strutturali che da tempo interessano il mercato del lavoro regionale,
primo fra tutti i forti livelli di precarizzazione dell'occupazione, che ogni anno interessano almeno 50.000 occupati.
In questo inizio di 2009 anche l'Umbria è chiamata a fare conti con la crisi. Le ripercussioni sono pesanti, anche perché la crisi coglie l'Umbria in una fase
delicata di cambio di marcia, in cui si stanno esaurendo le spinte propulsive che hanno caratterizzato il recente passato - la fine del ciclo della ricostruzione post-sisma e una diversa ripartizione dei fondi comunitari - e si avvicina una fase di riallineamento economico finanziario imposto dall'imminente avvento del
federalismo fiscale.
Forti elementi di criticità si segnalano nella dorsale appenninica, con la crisi della Merloni che pone a rischio due mila posti di lavoro (mille nello stabilimento di Gaifana e altri mille nell'indotto) e la crisi della ceramica, che in quattro anni ha dimezzato gli addetti. La zona dell'Alta Umbria risulta fortemente colpita nelle produzioni metalmeccaniche del ciclo dell'auto (tre mila lavoratori in cassa integrazione), nei comparti della grafica, delle macchine per l'agricoltura del cemento. Infine, ancora più preoccupante, si presenta la situazione in provincia di Terni, con la chiusura della Novamont e le difficoltà generalizzate per il settore chimico, la cassa integrazione per mille e seicento operai alla Thyssen,
e altri mille e cinquecento cassaintegrati nell'indotto metalmeccanico.
I dati sulla cassa integrazione, in modo particolare, ci parlano di un mondo del lavoro in sofferenza, con migliaia di posti di lavoro a rischio, con il concreto
pericolo dell'aumento del numero delle famiglie che si collocano nell'area della povertà o nelle immediate vicinanze della soglia di povertà.
In provincia di Perugia nel 2007 le ore autorizzate, tra cassa integrazione ordinaria e straordinaria, sono state circa un milione, mentre nel 2008 hanno subito un crescita impetuosa superando i due milioni. Gli iscritti alle liste di mobilità tra il 2007 e il 2008 sono assati da 2.476 a 4.208.
E il quadro nel 2009 si fa ancora più fosco. In Umbria, secondo fonti della Cgil, a marzo 2009 i lavoratori interessati da provvedimenti di cassa integrazione sono raddoppiati rispetto a dicembre 2008: da 5.499 sono passati, infatti, a 10.762, mentre dall'inizio del 2009 sono 1.387 i lavoratori collocati in mobilità.
Tra gli effetti più devastanti della crisi c'è anche un dato difficilmente quantificabile, ma più che mai reale e preoccupante, e che rafforza ulteriormente le ragioni della proposta di legge sul reddito sociale. Ci riferiamo
all'impatto della crisi sul mondo del lavoro atipico e precario, quello che interessa le giovani generazioni, gran parte della manodopera femminile e molto del primo impiego. Sono moltissimi, infatti, i contratti a termine che non vengono rinnovati per il calo della produzione e del fatturato delle imprese umbre, così come sono molti i lavoratori interinali che restano a casa. E sono tutti lavoratori che restano esclusi da qualsiasi garanzia e dagli ammortizzatori sociali.
La crisi non fa, dunque, che accelerare, anzi radicalizzare il disagio economico di milioni di persone e rimanda alla necessità di interventi massicci di politiche pubbliche, di interventi sociali e di redistribuzione delle risorse economiche verso quella parte del mondo del lavoro, e non solo, maggiormente esposta ai contraccolpi della crisi. L'attuale crisi impone di intervenire e di farlo con urgenza, a maggior ragione in Italia che, assieme alla Grecia è l'unico paese dell'Unione Europea privo di forme generalizzate di sostegno al reddito.
Per questi motivi con il presente disegno di legge avanziamo la proposta di istituzione di una misura di reddito sociale, inteso come strumento per assicurare a tutti coloro che sono in cerca di lavoro o hanno perso il lavoro un reddito minimo garantito da erogarsi in forma diretta (monetaria) ma anche indiretta (beni e servizi). Una delle caratteristiche dell'intervento proposto è quella di intervenire non 3010 sulle emergenze sociali e sulla povertà, ma proprio in forza del mix di strumenti proposto, di incidere affinché non si giunga alla gestione dell'emergenza e del disagio nel momento più difficile per una persona: un intervento che si caratterizzi come misura di ultima istanza, ma
intervenga fin dall'avvio, quando il rischio si paventa. L'introduzione di un provvedimento legislativo che definisca il diritto al reddito assume una rilevanza
centrale in tema di democrazia redistributiva.
Il disegno di legge proposto prevede che per ottenere i benefici individuati dalla proposta di legge è necessaria:
• la residenza nella regione da almeno 24 mesi al momento della presentazione della domanda;
• l'iscrizione alle liste di collocamento dei Centri per l'impiego;
• un reddito personale imponibile non superiore a 8.000 euro nell'anno precedente;
• il non aver maturato i requisiti per il trattamento pensionistico.
Oltre all'erogazione di una somma di denaro non superiore a 7.000 euro l'anno, la legge sul reddito sociale attribuisce ai Comuni e alle Province la facoltà di erogare una serie di prestazioni indirette volte a garantire la circolazione a tariffa ridotta sui mezzi pubblici locali e la gratuità dei libri di testo scolastici, a favorire la fruizione di attività e servizi di carattere culturale, ricreativo o sportivo
e a contribuire al pagamento delle forniture di pubblici servizi. Sempre gli enti locali, nell'ambito delle risorse disponibili, potranno prevedere l'erogazione di
contributi per ridurre il canone di locazione.
Le domande dovranno essere inoltrate annualmente al Comune di residenza del soggetto interessato. Sono previste sanzioni nel caso di dichiarazioni non
veritiere, nonché la decadenza dalle prestazioni qualora il beneficiario venga assunto con un contratto di lavoro subordinato o a tempo determinato, ovvero nel caso in cui lo stesso svolga un'attività lavorativa di natura autonoma.
Inoltre, la decadenza è prevista nel caso in cui il beneficiario rifiuti una proposta di impiego offerta dal Centro per l'impiego territorialmente competente, ma non
nell'ipotesi di non congruità della proposta. Vale a dire: i benefici non decadono se il soggetto non accetta una proposta che non tiene conto del salario precedentemente percepito, della professionalità acquisita, della formazione ricevuta e delle competenze formali e informali certificate dal Centro per
l'impiego.
La Giunta avrà novanta giorni di tempo dall'entrata in vigore della legge regionale per definire i criteri per la formazione delle graduatorie per l'accesso alle prestazioni, tenendo conto, caso per caso, del rischio di esclusione sociale e di marginalità nel mercato del lavoro.
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