Segreteria Provinciale Prc Perugia
Consigliere provinciale
I tragici fatti dell’Afghanistan ripropongono la
vexata quaestio della permanenza dei nostro soldati nei teatri di guerra internazionali, presenza che, sotto il vessillo dell’ONU o meno, e oltre ogni ipocrita dizione tipo “ missione di pace “, è e resta una presenza voluta dalle multinazionali, dal complesso industriale – militare statunitense ed europeo, dalle lobby legate a traffici economici e commerciali. Una presenza che dimostra il carattere eterodiretto della nostra politica estera, la sua subalternità agli interessi imperialisti. Una presenza che ci espone, tanto sul campo di battaglia quanto sul territorio nazionale ( anche per la nostra posizione geografica), al rischio ( e non solo al rischio ) di attentati, ritorsioni, minacce. L’Italia è attualmente impegnata, con circa 8000 uomini, in Afghanistan, nei Balcani, in Libano. Riferendoci unicamente alla situazione afghana, dobbiamo registrare, da quando nel 2001 è stata attivata la missione italiana, ben 20 morti tra i nostri soldati, di cui 13 in seguito ad attentati o conflitti a fuoco. I civili caduti nel corso della “ missione di pace “, sotto il fuoco delle truppe straniere, sono circa 1400. Un’ecatombe, una strage infinita scandita con macabra, regolare cadenza, anno dopo anno.
Chi, magari in buona fede, anche a sinistra ha avallato gli interventi militari imperialisti succedutisi nel corso degli ultimi 10 – 15 anni, rifletta sul fatto che i nostri soldati (come quelli di tutti paesi delle varie “coalizioni“) sono stati, in tutti i teatri di guerra in cui sono stati dislocati, niente di più e niente di meno che carne da cannone mandata allo sbaraglio dai beneficiari di enormi interessi geopolitici e geoeconomici, capaci di destabilizzare economie intere, rovesciare o ricattare in maniera insostenibile governi e parlamenti, condizionare le decisioni della massima assise mondiale, l’ONU. Del Medio Oriente (quindi anche del Libano) e della sua importanza per gli interessi statunitensi ed europei (a volte contrapposti, il più delle volte coincidenti perlomeno nella suddivisione dei “dividendi” dello sfruttamento imperialista) si è largamente scritto e dibattuto; gli appetiti statunitensi ed europei verso i Balcani sono chiari e hanno originato, in 18 anni, ben 4 guerre, con tutti gli strascichi delle “ missioni di pace “ annesse e connesse.
Le mire statunitensi sullo scacchiere eurasiatico sono note e chiare da tempo : basta leggere “ La grande scacchiera “ di Brzezinski, profetico libro pubblicato nel 1996 dal grande stratega occulto della politica estera americana, per coglierle in tutto il loro spessore. L’intervento in Afghanistan è figlio di queste mire, sotto la cortina fumogena della “ guerra al terrorismo “ e della lotta contro i Talebani. Gli Usa, da tempo e scientificamente, vogliono impedire l’ascesa della Cina come potenza mondiale; soprattutto, vogliono sbarrare il passo ad una possibile intesa tra una Russia restituita alla sua dignità di nazione indipendente e sovrana e la Cina, intesa gravida di conseguenze politiche ed economiche sgradite ai mandarini del capitale globale. E poi c’è la questione dei gasdotti, con l’antico e sempre nuovo progetto americano di costruzione del gasdotto Turkmenistan – Afghanistan – Pakistan (progetto sponsorizzato in primo luogo dalla Unocal, legata a doppio filo ai settori
neocon di Bush, Cheney, Wolfowitz ecc..).
E’ in questa chiave che va letto il conflitto afgano. E’ in questa chiave che vanno lette certe mosse nel Caucaso (Cecenia, Daghestan, Ossezia) e in Asia Centrale (dove a breve potrebbero verificarsi scossoni o svolte comunque significative in politica estera, a partire dal grande Uzbekistan). Obama, del quale si deve apprezzare senza dubbio la volontà di uscire dal ginepraio irakeno, di chiudere Guantanamo e i centri illegali di tortura, veri e propri lager, di inaugurare un nuovo corso “wilsoniano“ in politica estera, rispetto alla questione afgana non sembra invertire la rotta, tutt’altro. E’ chiaro il suo “equilibrismo“, diplomaticamente attuato per non urtare troppo i potentati conservatori e le varie lobbies che, disponendo di un certo potere di interdizione all’interno del Congresso, potrebbero mandare all’aria tutta la sua linea politica, facendo entrare in fibrillazione l’intero Paese.
Ciò che è grave è che l’Europa, divisa, succube, lacerata, non riesce ad esprimere un’autonoma linea di politica estera, almeno su questa questione; l’Italia di Berlusconi, naturalmente, rappresenta il caso peggiore, completamente infeudata com’è agli interessi statunitensi e alle lobbies più guerrafondaie.
Da nessuna parte si leva una voce chiara e limpida che inviti al ritiro di tutte le truppe, al rilancio del negoziato nei “ punti caldi “ del mondo, all’avvio di una vera e propria politica di pace mondiale che veda nell’Onu (democratizzata e rafforzata) il centro di elaborazione di strategie e azioni volte alla costruzione di una pace reale, fondata sulla giustizia, sul rispetto della sovranità nazionale e sul diritto dei popoli all’autodeterminazione. E così i nostri soldati restano esposti alle aggressioni, alle ritorsioni, alle azioni violente che la guerra, ammantata di nauseabondi travestimenti “pacifondai“, reca con sé. E muoiono, come accade in ogni guerra, lasciando madri, spose, figli nella disperazione e nel dolore. Il nostro lutto, da amanti della pace, non può che essere il più sincero!
A noi comunisti spetta il compito di organizzare una grande mobilitazione per la pace, per il ritiro delle nostre truppe, di tutte le truppe, dai teatri di guerra, assieme a tutto il popolo amante della pace e della libertà, senza coloriture politiche e partitiche.
“Siamo il popolo della Costituzione“, abbiamo scandito tante volte nei cortei : bene, non dimentichiamo mai che la nostra Costituzione ripudia la guerra, senza sé e senza ma.
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