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Lina Politi Segreteria Circolo Prc “Tenerini” A Perugia ad ottobre va in scena Eurochocolate, vera kermesse nazionale giunta ormai alla dodicesima edizione, 900 mila visitatori stimati lo scorso anno. Dal 2001 il commercio dell’equo dell’Umbria lancia un’iniziativa parallela che, pur facendo propria l’idea di un evento che faccia festa intorno al cioccolato, sia controinformazione e sensibilizzazione. Nasce così Equochocolate, ma il presidente di Eurochocolate è più veloce e, mentre i responsabili del commercio equo sono tutti presi nell’organizzare seminari e dibattiti, registra il “marchio”. “Per tutelarmi “ dice lui “e senza obiettivi commerciali”. Alla fine potremmo dire che Eurochocolate e Altrocioccolato sono entrambi due fiere, in entrambi si vende e si spende. La differenza che balza all’occhio è che Eurochocolate è più grande, patinata e consumista, Altrocioccolato inguaribilmente alternativa, più piccola, artigianale. A lavorarci, l’associazione Umbria Equosolidale ha alcune persone a tempo parziale e una marea di volontari. Dall’altra parte uno staff agguerrito e professionale che lavora a tempo pieno per tutto l’anno (e poi si avvale, durante l’evento di diverse centinaia di standisti e decine di imprese che allestiscono spazi, curano gli allacciamenti, montano gli impianti elettrici, progettano il materiale grafico eccetera eccetera: una mole di lavoro e un giro d’affari di tutto rispetto). A fronte di queste differenze ognuno è libero di scegliere dove andare a consumare. Quello che a mio avviso le donne non possono scegliere, è partecipare alla candidatura se i canoni estetici che bisogna elencare nel modulo apposito non corrispondono alla figura di ragazza stile velina televisiva. Infatti, nella modulistica della selezione per lavorare ad Eurochocolate, una pagina intera è dedicata ai dati fisici: Altezza, taglia, peso, scarpe, colore naturale capelli, colore occhi, Misure: spalle, seno, coppa, vita, fianchi; capelli: lisci, mossi ondulati, pari scalati…e udite udite…nel sito internet si richiede anche disponibilità a cene di lavoro. Immancabile la richiesta di foto e per le più “navigate” book fotografico. Io, da anni, oltre che per il lavoro che svolgo, mi occupo della questione di genere e della precarietà del lavoro, soprattutto quello delle donne. Spulciando le poche richieste che in questo periodo di crisi lavorativa arrivano sulla mia scrivania esamino questa con attenzione. Mentalmente scorro i visi delle donne fuoriuscite dal mercato del lavoro che bussano alla mia porta. Passata la prima reazione d’indignazione mi è scattata una sorta interrogativo. Quante delle donne che verranno in possesso di questi moduli riterranno discriminante una così minuziosa e quasi ossessiva richiesta di descrizione a particolareggiata del proprio corpo? Quante saranno le donne che, scoraggiate da taglie non “idonee”, ma pur bisognose di lavorare s’indigneranno di fronte a questa richiesta? Se un’azienda può reclutare allegramente per un lavoro temporaneo con queste modalità, che a mio avviso sono discriminanti, vuol dire che l’apparizione in tv delle veline di Striscia la Notizia che sembrava fosse provocazione 15 anni fa, oggi ha sdoganato la mercificazione del corpo femminile, c’è stata una involuzione: quello che prima era considerato scandaloso, ora è scontato, nessuno si lamenta più. Dopo anni di lotte abbiamo dato per scontato diritti acquisiti, le donne negli anni ’80 e ’90 si sono rilassate, quelle un pò mature come me hanno abbassato la guardia. Riparlarne è importante, non solo quando i media cavalcano il tormentone di veline escort e simili. Solo alcuni quotidiani e trasmissioni televisive (ormai in estinzione per le varie censure di governo) fanno riferimento alla “questione femminile”, attuale da sempre, ma i media se ne accorgono solo nel momento in cui un famoso politico ne resta vittima. La mercificazione del femminile colpisce l’intera società e non solo la donna che ne è vittima. E’ tutta la società che risente della mancanza di equilibrio, mancanza dell’energia femminile, di questa volgarizzazione e sottomissione a livello spirituale. Siamo tutti vittime di questo imbarbarimento. Il corpo femminile ha una propria storia che è fatta di vari avvenimenti fisici che lo mettono sempre, fatalmente in primo piano. I nostri sono corpi “femminili”, la cui subordinazione sociale, culturale, economica e fisica è passata storicamente, almeno fino ai primi del 900, come giustificazione e spiegazione di una debolezza che pareva appartenere all’ordine naturale delle cose. Tutto ciò fino a quando le donne stesse non hanno totalmente sovvertito quest’ordine simbolico e fisico “approfittando” delle enormi trasformazioni che l’intera società occidentale ha conosciuto negli ultimi decenni. Non è affatto casuale che nei primi collettivi femministi degli anni ’60 fosse praticata, come momento politico vero e proprio, la cosiddetta auto visita e che la conoscenza del proprio corpo, della propria sessualità e femminilità costituissero passaggi fondamentali verso una presa di coscienza reale di sé, delle proprie potenzialità e della propria forza. Analizzare i processi di cambiamento nel mondo del lavoro partendo dalle donne e da come ne sono attraversate e li attraversano, ci consente di cogliere tali processi nella loro forma più dirompente, acuta, esplosiva. E questo non solo per una ragione “quantitativa” (basti guardare alle percentuali femminili rispetto ai dati sulla precarietà, sulla disoccupazione, sulla perdita del lavoro) ma anche per una ragione “qualitativa” che attiene a ciò che chiamiamo femminilizzazione del lavoro. In che misura per le giovani il lavoro è ancora un elemento primario per la valorizzazione di sé? La riflessione sul lavoro femminile è, ineludibile per la reale comprensione dei meccanismi di riconfigurazione generale del mercato del lavoro poiché proprio sul corpo delle donne si misura (e dunque si comprende) quell’intreccio fra neoliberismo, neopatriarcalismo e nuovi fondamentalismi che costituiscono il vero volto della globalizzazione capitalistica. L’ossessiva volontà di disciplinare il corpo femminile, di assoggettarlo materialmente e di addomesticarlo simbolicamente, ci parla della profonda radice sessuale dei processi di dominio sessuale che segnano la postmodernità. Condividi