La crisi capitalistica sta mostrando in modo sempre più evidente i suoi caratteri di crisi strutturale. Le misure assunte dai governi mondiali hanno probabilmente messo a riparo il sistema da verticali collassi finanziari ma non sono in grado di rimetterne in moto lo sviluppo. Il contesto in cui siamo chiamati ad agire nei prossimi anni è quindi un contesto di stagnazione economica prolungata. La crisi non è però caratterizzata solo dalla recessione. In Italia, mentre il sistema bancario è stato messo sotto protezione dal governo, gli altri settori sono sottoposti ad una gigantesca ristrutturazione che accentua le politiche messe in atto nel ciclo ascendente della globalizzazione: ulteriore precarizzazione del lavoro, privatizzazioni, delocalizzazioni, concentrazioni, speculazioni fondiarie. L’intreccio tra recessione e ristrutturazione sta determinando una massiccia espulsione di lavoratrici e lavoratori dal mondo del lavoro. Dall’inizio della crisi abbiamo perso quasi un milione di posti di lavoro. Ad oggi questo fenomeno non è ancora pienamente visibile perché si è scaricato soprattutto sul lavoro precario e perché vi è stato un grande uso di Cassaintegrazione in deroga. A partire dall’autunno la perdita di posti di lavoro è destinata ad accentuarsi con licenziamenti e mobilità. Parallelamente il governo Berlusconi sta tagliando la spesa del settore pubblico e del welfare: dalla scuola alla sanità ai trasferimenti agli enti locali, aprendo così spazi al settore privato. I tagli all’istruzione e alla ricerca, così come quelli al Fondo Unico per lo Spettacolo, determinano non solo una precarizzazione ed espulsione di massa dal lavoro, ma incidono sulla qualità della scuola pubblica, limitano il pluralismo, determinando complessivamente un impoverimento culturale del paese e aprendo artificialmente spazi al settore privato. Il governo, in generale, non ha politiche finalizzate all’uscita dalla crisi. Non mette in atto politiche anticicliche ma aspetta la ripresa mondiale – tedesca in primo luogo – per far trainare da quella la ripresa dell’economia italiana. Il governo interviene quindi all’interno della crisi, in particolare per utilizzare la crisi al fine di attuare una modifica strutturale dei rapporti di forza tra le classi e una riduzione strutturale della democrazia nel paese. Un progetto che ha al centro la messa in discussione del contratto nazionale di lavoro e la volontà di costruire un modello sociale neocorporativo in cui il sindacato non è più autonomo rappresentante delle lavoratrici e dei lavoratori ma co-gestore di servizi privatizzati. Un progetto in cui l’attacco al contratto nazionale, al diritto di sciopero, alla magistratura, alla libertà di stampa, il razzismo di stato, le politiche securitarie, l’attacco alla laicità dello stato e all’autodeterminazione delle donne, costituiscono le varie facce di uno stesso disegno: la distruzione delle autonomie dei soggetti sociali e la gestione autoritaria della frantumazione del conflitto, nel superamento sostanziale del quadro costituzionale nato dalla lotta antifascista. Berlusconi usa quindi la crisi come “crisi costituente”, puntando alla realizzazione di un organico disegno di destra, in cui le politiche economiche, sociali e i modelli ideologici di riferimento hanno un elevato grado di coerenza interna. Questo disegno dobbiamo contrastare e sconfiggere nella piena consapevolezza che le opposizioni parlamentari, divise tra un centro cattolico, un centro sinistra moderato e un centro sinistra populista, non sono in grado di contrastare efficacemente il governo perché non sono portatrici di un progetto alternativo di uscita dalla crisi. Parallelamente le ipotesi alternative al berlusconismo che stanno maturando nelle classi dirigenti e nella stessa maggioranza parlamentare, non hanno oggi forza politica autonoma. L’uscita a sinistra dalla crisi e la sconfitta del berlusconismo, nel suo impasto clerical-fascista di politiche antidemocratiche, classiste e sessiste, sono quindi, gli obiettivi immediati che abbiamo dinnanzi. Condividi