di Nicola Bossi
Non è da comunisti o da verdi chiedere la ripubblicizzazione dell'acqua. Non è una moda. Non è una invenzione dei soliti quattro gatti. Ripubblicizzare l'acqua, stoppare nuovi attingimenti per le acque minerali e soprattutto far pagare chi sfrutta a fine commerciali questo prezioso liquido, è semplicemente da bravi amministratori che vogliono risparmiare risorse. Un esempio su tutti: l'ambito territoriale Umbria 1 ha speso nel 2007 qualcosa come 1milione 500mila euro per gli approvigionamenti di acqua attraverso autobotti. Il 2007 è stato l'anno della grande crisi idrica dove però le aziende di acqua minerali umbre non si sono fermate neanche un giorno. Hanno pompato e imbottigliato mentre quasi 200mila umbri utilizzavano le autobotti che riempivano cisterne e conservoni. Dal 2003 al 2007 l'Ato - pubblico - ha investito qualcosa come 9milioni di euro che non sono stati coperti dagli incassi.
A questo punto la domanda: quanto pagano i 17 marchi di acqua minerali che operano in Umbria di concessione alla regione? Con la vecchia legge qualcosa come 700mila euro. Una cifra irrisoria. Con i nuovi regolamenti il prezzo sale ma non di molto. La comunità spende in autobotti un milione e mezzo mentre le acque minerali la metà, quando il liquido sarebbe pubblico.
Ma c'è dell'altro: l'ato per il 2009 ha previsto un aumento del 2,85 per cento e ciò porta un metro cubo d'acqua a famiglia ad 1,4574 euro. I gestori delle multinazionali sfruttano un metro cubo d'acqua ad prezzo minore del 30 per cento. Ripubblicizzare l'acqua è doveroso. Far pagare più l'aziende rispetto alle famiglie è etico.
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