"Per poter sostenere un esame sono stato portato nel carcere di Verona, in isolamento, in una cella tappezzata di riviste pornografiche e con l'acqua che non funzionava. Facevo la doccia in una stanza con i muri verdi di muffa, ricoperti di muschio che sembrava la carta per fare i presepi". In una lettera pubblicata in esclusiva sul nuovo numero di Gente, Raffaele Sollecito, processato a Perugia con Amanda Knox per l'omicidio di Meredith Kercher, racconta del suo recente trasferimento per poter sostenere un esame del corso di specializzazione in Realtà virtuale. "È come se qualcuno ti frusta a sangue perché vuoi studiare. Questi trasferimenti sono una pena nella pena, una vera tortura: sono stato portato da Terni a Verona dentro un cellulare - dice - su una sedia rigida come il marmo in una gabbia di 1/10 di metro quadro dove a malapena riesci a stare seduto, hai difficoltà a respirare e muori dal caldo". Sollecito spiega poi che tornato nel carcere di Terni si è accorto che i suoi farmaci personali erano stati lasciati in infermeria a Verona: "Ho la tiroide infiammata e ho bisogno di essere visitato e curato al più presto". Il giovane, alla vigilia della ripresa del processo, che partirà a Perugia il 14 settembre, si foga: "Meno male che sono in attesa di giudizio, a me sembra più di essere colpevole a prescindere da qualsiasi fatto. Così mi fanno sentire o almeno così vuole chi mi accusa. Continuo a patire le pene dell'inferno ancora prima di essere giudicato e mi tengono in carcere con prove viziate". Condividi