Pomodoro, mozzarella e asparagi. Sono gli ingredienti della “pizza Bersani”, che ieri sera è stato uno dei piatti andati per la maggiore alla festa perugina del Pd. Roba genuina insomma, come l’entusiasmo e l’affabulare così popolare sono stati il piatto forte del comizio vecchio stile di Pierluigi Bersani. E se per le primarie valesse il criterio delle presenze al tendone dibattiti, per Franceschini e Marino non ci sarebbe scampo. Nelle feste di partito c’è una regola quasi infallibile: se la sala è piena mezz’ora prima del dibattito, per il protagonista è un trionfo. E così erano sette od ottocento le persone presenti nonostante il lunedì sera di freddo. Qualcuno per non perdersi neanche un minuto mangia pure in piedi.
“Vogliamo – dice l’autore delle lenzuolate – un partito che sia un mezzo per raggiungere gli interessi degli italiani”. Un partito, come ha già detto più volte nei suoi interventi, “sullo stile dell’Avis, di un’associazione che funzioni. Ora, però, non bisogna litigare. Facciamo questo congresso e dopo diciamo una parola di chiarezza agli italiani, dimostrando loro di essere un’alternativa di governo”.
Insomma, bisogna pensare a quello che vuole diventare da grande il Pd, c’è da preparare la fase di governo “perché siamo all’imbrunire del berlusconismo”. Sarà pure l’imbrunire, come vanno recitando in un mantra i leader del Pd in questi giorni, ma è l’imbrunire con il più alto consenso di popolo mai visto.
LA CARTA D'IDENTITA' Comunque sia, per tornare credibili di fronte agli italiani, Bersani indica quelli che sono i “quattro punti fondamentali della carta d’identità della mia mozione”. Primo, l’identità. “E’ – dice Bersani – una roba molto pratica. Bisogna arrivare a fare la fusione vera delle nostre culture. Io voglio un grande partito popolare dei tempi moderni, che guarda primariamente agli interessi popolari”.
Secondo: un partito di sinistra democratica e liberale. Un partito protagonista di “una grande riscossa civica”. E un partito “liberale ma non liberista: non si devono confondere le liberalizzazioni con il liberismo. Per esempio, sicurezza, istruzione e sanità non si affidano al mercato”.
Terzo, il Pd deve essere laico. “I nostri parlamentari – dice Bersani – devono essere sì liberi di decidere sulla base della loro coscienza, ma devono anche ricordarsi che stanno decidendo per le coscienze di tutti. Come devo morire non lo decide Gasparri. Anche sulle questioni più delicate – sentenzia bersani – il Pd dovrà prendere una posizione e si dovrà assumere le sue responsabilità”.
Quarto, un partito con radici profonde, “che sono l’orizzonte verso cui guardare”. Il Pd di Bersani, è “il partito del secolo nuovo”, per cui anche il compromesso storico di Moro e Berlinguer “è qualcosa alle nostre spalle”. Le radici del Pd, secondo lui, “stanno più in fondo. Ora bisogna guardare all’innovazione, alla crescita e allo sviluppo con gli occhi della solidarietà e dell’uguaglianza”.
IL SEGRETARIO DI SINISTRA Uno dei tanti applausi arriva quando Bersani pronuncia la parola magica: “Sinistra: io non riesco a fare il segretario se non posso dire la parola ‘sinistra’. Non capisco, una volta c’era la sinistra Dc, la sinistra socialista, la sinistra liberale: e non si offendeva mica nessuno. Perché ‘sinistra’ allude alla eguale libertà e dignità di tutti gli essere umani”.
E via poi con qualche ideuzza per combattere la crisi economica, come “alzare i redditi medio bassi” e “puntare sull’economia verde”. In tutto “12 o 13 miliardi di euro di investimenti”. Sulle alleanze Bersani non è altrettanto chiaro e se la cava con una delle sue metafore popolari: “Bisogna lasciare le canalette dell’acqua aperte”. Il problema, è capire da dove arriva quell’acqua. Un siluro lo lancia all’idea veltroniana di vocazione maggioritaria: “L’abbiamo intesa nella maniera sbagliata, come se il bipolarismo dovesse diventare un bipartitismo. Noi invece dobbiamo sentire la responsabilità di essere i primi ad oprganizzare il campo dell’alternativa”.
LA FORMA PARTITO L’ultima parte del discorso è invece riservata alla forma partito, all’idea di Pd che Bersani ha in testa. E cioè un partito “radicato sul territorio”, “che formi lì le nuove classi dirigenti promuovendo i migliori”, un partito che dice sì alle primarie, ma “riformate: non mi sembra una grande cosa che il 25 ottobre vada a votare anche Storace”. Un partito “da combattimento”, dove “per i congressi le tessere contano per la metà: per l’altra metà invece vanno conteggiati anche i voti presi sul territorio”. Quelli, per intendersi, che prendono gente come Lorenzetti, Bottini e Boccali, tutti in prima fila ad applaudire Bersani.
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